La “via italiana” al socialismo e i suoi legami con l’esperienza della Cina socialista: i rapporti tra il PCI e il PCC tra 1949 e 1959

Di Matteo Minen

Abstract

La “via italiana” al socialismo rappresenta uno dei temi più affascinanti nella storia del Partito comunista italiano (PCI), il quale voleva individuare una via di sviluppo socialista che rispettasse le condizioni sociopolitiche e culturali dell’Italia repubblicana. Uno dei testi fondamentali per approcciarsi allo studio di questo tema è Togliatti e la via italiana al socialismo. Il PCI dal 1944 al 1964 dello storico inglese Donald Sassoon, pubblicato nel 1980; a esso si affiancano i testi di Carlo Spagnolo Sul Memoriale di Yalta. Togliatti e la crisi del movimento comunista internazionale (1956-1964) pubblicato nel 2007, e di Gianluca Fiocco Togliatti, il realismo della politica. Una biografia, edito nel 2018.
Nell’elaborare il progetto della via italiana il PCI dedicò attenzione anche allo studio dell’esperienza dei partiti comunisti che sembravano applicare con originalità la dottrina marxista, “adattandola” alla propria realtà nazionale. È in tale contesto che si colloca l’attenzione del comunismo italiano verso il Partito comunista cinese (PCC).
Le seguenti pagine vogliono ricostruire sinteticamente alcuni dei temi affrontati nella mia tesi di laurea magistrale, dedicata all’analisi delle relazioni tra il PCI e il PCC tra il 1949 e il 1964 e in cui sono state analizzate le ragioni che hanno spinto il comunismo italiano a esaminare l’esperienza della Cina socialista e le motivazioni che hanno determinato, tra il 1960 e il 1964, il deteriorarsi dei rapporti tra i due partiti. Lo scopo primario di questo contributo è prendere in considerazione gli elementi del socialismo cinese ai quali il PCI dedicò attenzione per implementare il proprio “percorso nazionale” al socialismo.

La “façons italienne” par rapport au socialisme représente l’un des thèmes les plus fascinants de l’histoire du Parti communiste italien (PCI), qui voulait identifier une façon de développement socialiste qui respectait les conditions sociopolitiques et culturelles de l’Italie républicaine.
Certains des textes les plus utiles pour aborder l’étude de ce thème sont Togliatti e la via italiana  al socialismo. Il PCI dal 1944 al 1964 de l’historien anglais Donald Sassoon, publié en 1980; celui de Carlo Spagnolo Sul Memoriale di Yalta. Togliatti e la crisi del  movimento comunista internazionale (1956-1964) publié en 2007; et de Gianluca Fiocco Togliatti, il realismo della politica. Una biografia, éditée en 2018.  
En élaborant le projet de la voie italienne, le PCI a également consacré son attention à l’étude de l’expérience des partis communistes qui semblaient appliquer avec originalité la doctrine marxiste,  “en l’adaptant” à leur réalité nationale. C’est dans ce contexte que se situe l’attention du communisme italien pour le Parti communiste chinois (PCC). 
Les pages suivantes visent à résumer certains des thèmes abordés dans mon projet de mémoire du Master, focalisé sur les relations entre le PCI et le PCC entre 1949 et 1964, en analysant les raisons qui ont poussé le communisme italien à examiner l’expérience de la Chine socialiste et les motivations qu’ils ont déterminées, entre 1960 et 1964, la détérioration des relations entre les deux partis.
Le but premier de cette contribution est de prendre en compte les éléments du socialisme chinois auxquels le PCI a consacré son attention pour mettre en œuvre son propre “parcours national” au socialisme.

The “Italian way” to socialism represents one of the most fascinating themes in the history of the  Italian Communist Party (PCI), which wanted to identify a socialist development path that respected  the socio-political and cultural conditions of Republican Italy. One of the fundamental texts to approach the study of this theme is Togliatti e la via italiana al  socialismo. Il PCI dal 1944 al 1964 by the British historian Donald Sassoon, published in 1980. Other  essential works are Sul Memoriale di Yalta. Togliatti e la crisi del  movimento comunista internazionale (1956-1964) by Carlo Spagnolo published in 2007, and  Togliatti, il realismo della politica. Una biografia, by Gianluca Fiocco published in 2018.
In developing the project for the Italian way, the PCI also devoted attention to the study of the  experience of the communist parties which seemed to apply the Marxist doctrine with originality,  “adapting” it to their national reality. It is in this context that the Chinese Communist Party (CCP)  draws the attention of Italian communism.
The following pages aim to briefly reconstruct some of the themes addressed in my master’s degree  thesis, dedicated to the analysis of the relations between the PCI and the CCP between 1949 and 1964.  In my thesis I examined in depth the reasons that led Italian communism to examine the experience  of socialist China, which led to the deterioration of relations between the two parties between 1960  and 1964. The primary purpose of this contribution is to take into consideration the elements of Chinese  socialism to which the PCI devoted attention to implement its “national path” to socialism. 

Premessa: la particolarità della situazione italiana e cinese nel Secondo dopoguerra

La storia del Partito comunista italiano coincide con una delle esperienze più singolari nella vasta  storia del comunismo occidentale: collocato all’interno del “blocco” capitalista e di un sistema  parlamentare, esso sarebbe divenuto il più forte partito comunista dell’Occidente e fino al 1964  sarebbe stato guidato da Palmiro Togliatti. Fu proprio Togliatti a comprendere per primo la singolarità  della collocazione geopolitica dell’Italia, inserita nel “blocco” occidentale e caratterizzata da un  sistema parlamentare e pluripartitico; a tali fattori si aggiungeva uno scenario internazionale percorso  da forti tensioni e segnato, dal 1945, dalla contrapposizione tra Usa e Urss che sfociò nella “guerra fredda”. Il leader del PCI comprese pertanto che, per il comunismo italiano, seguire una via rivoluzionaria per edificare una società socialista non sarebbe stato possibile, intraprendendo così un  percorso di elaborazione ideologica che sarebbe culminato, dodici anni dopo, nel progetto della “via  italiana” al socialismo, una via che doveva necessariamente tenere conto delle condizioni sociali,  politiche, economiche e culturali italiane.  
La visione togliattiana parve trovare conferma in una realtà in cui la vittoria comunista era apparsa  una possibilità remota (se non addirittura impossibile), ovvero la Cina, che nel 1949, sotto la guida  di Mao Zedong, trionfò sulle truppe nazionaliste del Guomindang.
Partendo dall’idea che fosse necessario “adattare” l’ideologia marxista alle condizioni socioeconomiche cinesi, segnate da una profonda arretratezza e da un’economia quasi totalmente contadina, fu proprio Mao il vero artefice della vittoria comunista in Cina e della fondazione della Repubblica popolare cinese (Rpc). Nella visione  maoista le campagne avrebbero dovuto rappresentare l’epicentro di un “miracolo economico orientale”, una “via cinese” al socialismo che ebbe il drammatico tentativo di una sua applicazione  concreta con il Grande balzo in avanti.  
Agli occhi del PCI e del comunismo italiano l’esperienza del PCC forniva la prova concreta della  possibilità di avanzare verso il socialismo seguendo un percorso alternativo a quello dell’Urss, in cui  persino classi sociali diverse collaboravano tra di loro dando vita a una società nuova, egualitaria e  democratica, garantendo uno straordinario sviluppo economico: sarebbe stata proprio la politica di  “collaborazione tra classi” che avrebbe suscitato l’interesse dei comunisti italiani. Il PCI vi dedicò infatti attente analisi all’interno di giornali e riviste di partito, come “l’Unità” e “Rinascita”, e nel  corso di riunioni del proprio gruppo dirigente, cercando di individuarne gli elementi funzionali alla  definizione della via italiana.  

Velio Spano nella Rpc (1949-1950)  

Il PCI avviò i primi contatti con il PCC sin dall’estate del 1949: il 29 luglio venne inviata in Cina una  lettera scritta da Togliatti in cui il segretario del PCI presentava al Comitato Centrale (CC) del PCC, Velio Spano, giornalista e senatore comunista[1]. All’interno della missiva Togliatti comunicava inoltre  che nei mesi successivi Spano avrebbe effettuato un viaggio in Cina al fine di informare l’opinione  pubblica italiana sulla situazione cinese; il 16 settembre 1949 “l’Unità” informò i propri lettori che  Spano era giunto a Shangai il 10 settembre[2]
Durante il proprio viaggio Spano inviò altre corrispondenze a “l’Unità” e le testimonianze da lui raccolte vennero riunite nel testo Nella Cina di  Mao Ze-Tun[3], pubblicato al suo ritorno. Questo testo acquisisce un valore fondamentale poiché  rappresenta la prima testimonianza diretta offerta al comunismo italiano sulla Cina popolare e perché  vi si ritrovano approfondite considerazioni riguardo le condizioni socioeconomiche del paese e la strategia intrapresa per raggiungere il socialismo. A questo proposito è pertanto opportuno  soffermarsi sull’attenzione riservata da Spano alla politica di “collaborazione di classe” che  caratterizzava l’esperienza socialista in Cina.  
Egli chiarisce che questa collaborazione non rappresentava il frutto di una svolta “riformista” da  parte del PCC, ma che i comunisti cinesi avevano in realtà intrapreso una strada realmente  rivoluzionaria. 
Per spiegare la particolarità del percorso di edificazione socialista avviato dal PCC Spano descrive la società cinese, ricordando la presenza all’interno di quest’ultima dei compradores,  presentati come una categoria di commercianti che «facevano incetta nell’interno di prodotti cinesi per conto degli imperialisti e vendevano nell’interno, sempre per conto degli imperialisti, i prodotti  della classe capitalistica forestiera»[4]. Asserviti all’imperialismo, i compradores sottraevano i profitti  ai lavoratori cinesi contribuendo a formare il capitale burocratico, definito da Spano come “cinghia  di trasmissione” per il grande capitalismo straniero[5]. In Cina, pertanto, il PCC guidava la classe  operaia e il popolo verso obiettivi comuni come la liberazione dalle spire dell’imperialismo,  l’eliminazione della feudalità e del capitale burocratico[6]. I compradores si differenziavano pertanto  dalla “borghesia nazionale” che produceva merci per il paese. Proprio in virtù di questa situazione concreta Spano spiega la necessità della politica del “fronte unico” in Cina.  
Il fronte unico si fondava sull’unità delle quattro classi, proletariato, contadini, piccola borghesia e  borghesia nazionale e viene definito da Spano “blocco nazionale”, in cui lo stesso Mao Zedong aveva  riposto grande fiducia: egli infatti era convinto che in questo periodo storico il PCC e la classe operaia  avessero il compito di “dirigere” la rivoluzione nazionale con l’appoggio di tutte le forze nazionali  “sane”[7]. Il fronte unico delle quattro classi poggiava inoltre sull’alleanza permanente tra la classe  operaia e contadina e si muoveva sotto la guida del proletariato; all’interno del fronte unico il PCC svolgeva quindi una funzione dirigente, ma senza abusare della propria autorità poiché preferiva fare  ricorso alla politica di unità nazionale durante tutto il periodo storico che precedeva la svolta verso il  socialismo (periodo che secondo l’autore sarebbe stato molto lungo)[8]. L’elemento sul quale Spano intende porre l’accento è chiaramente la pluralità di partiti che caratterizzava la situazione politica  cinese, i quali avevano tutti riconosciuto la funzione dirigente del PCC,come unica forza in grado  di portare a compimento la Rivoluzione. Queste premesse, secondo l’autore, sembravano  preannunciare per il futuro la possibilità di un’edificazione pacifica del socialismo (nonostante lo  stesso Spano non avesse una piena certezza riguardo a questa possibilità).  
La politica del fronte unico aveva indubbiamente colpito il giornalista sardo e nella seconda metà  degli anni Cinquanta l’attenzione del PCI nei confronti di questa politica sarebbe divenuta sempre  più visibile. 

È possibile una collaborazione tra classi per edificare il socialismo? L’VIII Congresso del  PCC e la sua influenza sulla ricerca della via italiana 

A partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta i rapporti tra il PCI e il PCC furono più intensi e  l’attenzione del comunismo italiano verso la via cinese al socialismo fu scandita da due eventi  estremamente significativi verificatisi rispettivamente nel 1956 e nel 1959. 
Il 15 settembre 1956 si svolse l’VIII Congresso del PCC, che si aprì con un discorso pronunciato  da Mao Zedong, il quale esaltò i successi raggiunti dalla Rpc affermando che questi erano stati  possibili grazie a «l’alleanza degli operai e dei contadini, sotto la guida della classe operaia, unendo  tutte le forze che era possibile unire»[9]
Uno dei discorsi più importanti pronunciati nel corso di questa assise fu tuttavia quello di Liu  Shaoqi[10], una delle figure di spicco del PCC. La parte più interessante dell’intervento di Liu è quella  dedicata alla vita politica dello Stato, in cui vengono descritte le caratteristiche della “dittatura democratica popolare”, la forma di governo che aveva preso vita in Cina con la vittoria comunista: è  opportuno dedicare attenzione alle parole del dirigente cinese poiché il PCI fu influenzato da questo  concetto e dalle caratteristiche di questa forma di governo.  
Liu ricordò che all’interno della dittatura democratica del popolo collaboravano anche altre classi,  partiti e “personalità democratiche” che non appartenevano ad alcun partito; egli spiegò che ciò  avveniva in quanto tale forma di governo non necessitava esclusivamente che gli organi statali fossero  diretti dal proletariato, ma anche della partecipazione delle masse popolari. La possibilità di instaurare  la dittatura della “maggioranza assoluta” del popolo sulle classi reazionarie e di edificare il socialismo  dipendeva pertanto dall’alleanza del proletariato con le masse popolari “propense” ad accettare il  passaggio a una società socialista. 
In tale contesto, proseguiva Liu, accanto all’alleanza tra classe operaia e contadina, acquisiva un  ruolo di primo piano la borghesia nazionale, avversa all’imperialismo straniero e che, dopo la nascita  della Rpc, aveva visto un numero sempre maggiore di suoi rappresentanti e partiti aderire alla nuova  forma di governo che aveva preso vita. La borghesia nazionale aveva mantenuto la propria alleanza  con il PCC e la classe operaia anche nel processo di trasformazione socialista; Liu sottolineava poi l’importanza della borghesia nazionale perché aveva permesso di sviluppare l’industria, riconosciuto  il ruolo guida della classe operaia e «dato il suo consenso»[11] per le trasformazioni socialiste in Cina,  alle quali partecipava attivamente.Secondo il dirigente cinese questa collaborazione con la borghesia  nazionale avrebbe dovuto essere ulteriormente sviluppata, permettendo alla borghesia di mostrare le  proprie qualità nel processo di edificazione socialista e compiere nuovi progressi nell’opera di  “autorieducazione”. In futuro il PCC avrebbe dovuto favorire anche la politica di “coesistenza” e  “controllo reciproco” tra il partito comunista e gli altri partiti democratici ed era lo stesso partito  comunista che aveva il compito di mettere in movimento tutti gli “elementi attivi” affinché  contribuissero all’edificazione del socialismo, realizzando una «più larga unità patriottica dei  cittadini»[12], rafforzando così la dittatura del proletariato.  
In base alle dichiarazioni di Liu Shaoqi l’esperienza della Cina sembrava confermare la possibilità  di avanzare verso il socialismo anche grazie alla collaborazione del partito comunista con classi  sociali e partiti caratterizzati da orientamenti ideologico-politici e interessi economici diversi tra loro.   La politica del fronte unito tornò immediatamente a essere posta al centro delle analisi del  comunismo italiano. Al Congresso era infatti presente una delegazione del PCI, formata da Mauro  Scoccimarro (membro della Segreteria), Giuliano Pajetta (membro del Comitato Centrale) e Davide  Lajolo (direttore de “l’Unità” di Milano). Scoccimarro portò il saluto del PCI e affermò che i  lavoratori e le forze democratiche italiane guardavano con attenzione e interesse a questo congresso,  in quanto ne potevano trarre elementi utili alla causa del comunismo italiano[13].  
Il viaggio di Scoccimarro in Cina fu inoltre posto in risalto da “l’Unità”: il giornalista e senatore  comunista Franco Calamandrei definì l’VIII Congresso del PCC un «grande contributo al marxismo  creatore»[14], che testimoniava la possibilità di edificare pacificamente il socialismo.   Il 20 ottobre 1956 Scoccimarro presentò al CC del PCI un rapporto incentrato proprio sui lavori  dell’VIII Congresso del PCC e questa approfondita relazione consente di documentare l’influenza  che il Congresso da poco tenutosi in Cina ebbe sugli sviluppi ideologici del PCI che stava preparando in questo periodo il proprio VIII Congresso: all’interno di questo documento egli dedicò nuovamente  ampio spazio alla politica del fronte unico.  
Il dirigente friulano affermò nel proprio rapporto che collaborando con i partiti democratici era  possibile realizzare più facilmente obiettivi come lo sviluppo democratico e pacifico verso il  socialismo. Cooperando tra loro queste forze assicuravano «la più larga e profonda unità politica e  morale del popolo»[15] ed era la collaborazione tra la classe operaia e la borghesia nazionale che  costituiva il tratto distintivo della rivoluzione cinese. Scoccimarro chiarì che la borghesia nazionale cinese non coincideva con quelli che in Italia erano definiti “ceti medi”, poiché in Cina questa classe  corrispondeva a una borghesia che non aveva raggiunto una fase di sviluppo monopolistico e non  aveva legami con le forze dell’imperialismo. Questa classe si presentava invece come una forza politica e sociale intermedia e la politica del PCC aveva creato le condizioni che avevano spinto la  maggioranza di essa ad assumere un ruolo attivo nel processo di costruzione socialista. Scoccimarro aggiunse che in Cina ciò era stato possibile grazie all’atteggiamento del PCC che era andato incontro  alle esigenze e agli interessi economici della borghesia nazionale, tutelati assieme a quelli dei  lavoratori; in secondo luogo, questa alleanza, poiché non possedeva solo un carattere economico ma  anche politico, garantiva alla borghesia nazionale di svolgere una funzione politica e sociale nella  società socialista che stava prendendo forma.  
Il PCI, nella visione di Scoccimarro, poteva trarre un’importante insegnamento dall’esperienza  cinese: esso non si sarebbe dovuto limitare a replicarla meccanicamente, ma avrebbe dovuto  sviluppare la propria politica verso i ceti medi, poiché l’alleanza con questi ultimi era considerata un  presupposto indispensabile per garantire uno sviluppo democratico del socialismo in Italia. La  borghesia nazionale nella lettura di Scoccimarro, nonostante alcune differenze con i ceti medi,  presentava anche alcune analogie «con la posizione di forza politica intermedia dei ceti medi nella  società italiana»[16]. L’esperienza del PCC doveva richiamare il PCI a una collaborazione più accorta  e concreta con i ceti medi e per conquistarne l’appoggio non si doveva solo sfruttare il fatto che gli  interessi economici di questi ceti e quelli dei lavoratori coincidevano in quanto si opponevano alla  pressione dei grandi monopoli. Per realizzare tale obiettivo era necessario che il PCI attribuisse a  quest’alleanza anche un carattere politico fondato sui criteri di democrazia e libertà, garantendo così  ai ceti medi la salvaguardia dei loro interessi materiali e un ruolo conforme «alle loro aspirazioni  morali e spirituali»[17]
Il comunismo italiano avrebbe infine dovuto trarre un insegnamento dall’esperienza cinese anche  per quanto concerne i rapporti con gli altri partiti democratici perché il PCC non li aveva eliminati, ma aveva favorito la loro “evoluzione” verso il socialismo. Così, come il PCC aveva adattato la propria  strategia alla condizione sociale e politica della Cina, allo stesso modo il PCI non poteva ignorare il  contesto democratico e multipartitico dell’Italia repubblicana. Era quindi necessario che il  comunismo italiano si adattasse alla propria specifica situazione politica stringendo nuove e più vaste alleanze con altre classi sociali, rendendo più concreta la possibilità di una transizione pacifica al  socialismo.  
Scoccimarro dedicò alla Rpc anche un articolo pubblicato sull’undicesimo numero di “Rinascita” nel novembre 1956, in cui tornò a porre l’accento sull’alleanza tra la classe operaia e i ceti medi e in  cui rilanciò il concetto di “via nazionale” al socialismo[18]: l’articolo consente di percepire il desiderio di rinnovamento che il comunismo italiano cercava di perseguire in questo periodo.  
L’8 dicembre 1956 si aprì l’VIII Congresso del PCI, che avrebbe dovuto costituire il banco di prova  della capacità del partito di rinnovarsi, soprattutto alla luce degli eventi che in quell’anno avevano  sconvolto il movimento comunista (su tutti la rivelazione dei crimini staliniani e la Rivoluzione  ungherese). In questa assise Togliatti annunciò ufficialmente il progetto della via italiana al  socialismo, presentò le celebri “riforme di struttura” e dichiarò che era possibile individuare un ampio  fronte di forze sociali che si opponevano capitalismo, permettendo di formare un’alleanza di classe  più vasta e composita[19]. In un passaggio della propria relazione fu lo stesso segretario del PCI a  riportare quindi l’esperienza del PCC, ricordando come persino la borghesia nazionale partecipasse  alla costruzione del socialismo e affermando che anche in Italia era possibile unire la classe operaia,  le grandi masse contadine, i piccoli e medi coltivatori e un numeroso ceto medio urbano[20].   L’attenzione del PCI verso la Cina socialista non sarebbe però cessata con il 1956, ma si sarebbe  sviluppata ulteriormente alla fine degli anni Cinquanta.  

Il viaggio di Pajetta nella Rpc nella primavera del 1959: le illusioni del PCI

L’interesse dei comunisti italiani per l’esperienza della Cina socialista raggiunse il proprio apice nella  primavera del 1959, quando una delegazione del PCI guidata da Gian Carlo Pajetta (membro della  Direzione e della Segreteria del partito) visitò la Rpc dal 6 aprile al 2 maggio. Oltre a Pajetta la  delegazione comprendeva Antonio Roasio (membro della Direzione), Celso Ghini e Luciano Barca  (membri del CC), Maria Michetti (della Commissione Centrale di Controllo), Gerardo Chiaromonte  e Giuseppe Boffa.  
Il 1° aprile 1959 Togliatti inviò a Mao una lettera, informandolo che lo scopo della visita da parte  della delegazione del PCI era «conoscere e apprendere nuove cose dalla grande esperienza fatta dal  vostro Partito e dal vostro grande popolo nella lotta per la democrazia e il socialismo»[21]; questo  viaggio in conclusione doveva sfociare in un’esperienza “educativa” per la delegazione italiana e il  PCI e venne descritto all’interno di accurati verbali[22].  
In seguito a questo viaggio nel numero di “Rinascita” del luglio-agosto 1959, vennero dedicate  quaranta pagine alla Rpc incentrate su un’attenta analisi dei suoi primi dieci anni di vita e intitolata  La Cina oggi e domani[23]. Questa analisi viene effettuata attraverso una serie di articoli redatti dai  membri della delegazione del PCI giunta in visita nella Cina popolare: vi sono due articoli sui quali  soffermarsi con particolare attenzione.  
Il primo articolo porta la firma di Gian Carlo Pajetta ed è intitolato Dieci anni dalla fondazione  della Repubblica popolare. La Cina verso il socialismo; sin dalle prime righe l’autore afferma come  le trasformazioni che la Cina stava vivendo sotto la guida del PCC costituivano la prova decisiva di  un principio universale, cioè del valore delle vie nazionali come possibilità concreta per edificare il  socialismo[24]. Pajetta ripercorre le tappe decisive della storia del PCC dalla sua fondazione sino alla  Lunga Marcia, considerato l’evento che ha permesso al partito di conoscere la geografia, l’economia,  le tradizioni e le particolarità regionali della Cina. Questa premessa è considerata necessaria da Pajetta  per capire le caratteristiche della prima fase delle trasformazioni socialiste in Cina, fondate sulla  centralità del mondo contadino e dei partiti borghesi o piccolo borghesi. Viene posta in risalto soprattutto la decisione del PCC di mantenere queste alleanze, che avevano permesso di rinnovare la  struttura sociale cinese e avviare nel paese un balzo in avanti[25], considerato un evento che  corrispondeva alle caratteristiche nazionali cinesi e una diretta conseguenza di precisi eventi storici che avevano interessato il paese tra il 1956 e il 1957. Per marciare con maggiore decisione verso il  socialismo il PCC aveva fatto ricorso alla “linea di massa”, attraverso cui le masse stesse  partecipavano attivamente alla vita sociale e alla lotta politica. Il balzo in avanti era considerato come il risultato finale della fiducia riposta dal partito nelle masse, che potevano allo stesso tempo fare  affidamento sulla guida del PCC.  
Pur riconoscendo il valore dell’esperienza della Rpc, Pajetta dichiara che da essa è opportuno  apprendere che nessuna esperienza storica può essere copiata meccanicamente in altre realtà[26]. Nella  parte conclusiva dell’articolo vengono ricordate le diverse tradizioni storiche e condizioni sociali di Italia e Cina, il differente ruolo dei partiti comunisti nei rispettivi paesi, ma viene anche specificato che essi si “esprimono” attraverso un linguaggio comune[27]. Questo linguaggio comune è il frutto della  fedeltà dei due partiti ai principi del marxismo-leninismo, all’internazionalismo proletario e alla  Rivoluzione d’Ottobre[28]8, della quale entrambi i partiti continuavano a riconoscere l’immenso valore  storico. Ma questo linguaggio comune è anche una conseguenza della capacità di entrambi i partiti di  aver saputo legare la loro azione alla storia e alla vita dei loro paesi e dei loro popoli, completamente  diverse[29]. Per comprendere il valore che la storia del PCC assume agli occhi del PCI è sufficiente  riportare le seguenti parole di Pajetta: «Proprio perché i comunisti cinesi sono tanto profondamente  cinesi possono comprenderci e noi possiamo intenderne l’esperienza, perché siamo profondamente  italiani»[30]
Il secondo articolo porta la firma di Luciano Barca[31] e analizza le condizioni economiche della Cina  per spiegare come sia stata tracciata la linea generale cinese, che aveva permesso il Grande balzo in  avanti nel corso del 1958; essa era nata tra il 1956-1957 dopo un bilancio critico del Primo piano  quinquennale[32] intrapreso nel 1953. Il dibattito voleva dare una risposta al seguente quesito: come  poteva essere attuato il principio della priorità dell’industria pesante per fare in modo che l’economia  cinese non si ritrovasse a camminare su una gamba sola, cioè con un’economia dotata di una gamba  adeguatamente sviluppata e di una «rachitica e anchilosata»[33]? Questi concetti erano stati esposti alla  delegazione italiana da Po-Ipo, ministro della Pianificazione economica cinese, durante il colloquio  tenutosi con quest’ultimo il 19 aprile 1959[34].  
Si constatò l’impossibilità di sviluppo dell’industria pesante nel caso in cui non si fosse sviluppato  un mercato dell’industria pesante, cioè l’agricoltura e l’industria dei beni di consumo. Nacque così il  principio del “camminare su due gambe”. In base a questo principio lo sviluppo agricolo e  industriale dovevano essere realizzati contemporaneamente superando così più rapidamente  l’arretratezza delle campagne e instaurando nuovi rapporti sociali: era infatti la stessa trasformazione  dei rapporti sociali che doveva accompagnare e favorire lo sviluppo delle forze produttive[35]. Secondo  Barca la via cinese e il Grande balzo si distinguono per la decisione del PCC di coniugare tra loro la direzione unificata dell’economia con il “decentramento”: lo Stato amministrava “dal centro” solo le aziende più importanti, lasciando alle province e alle città la direzione della maggior parte delle  industrie e ricercando nuovi livelli di direzione economica come le Comuni popolari.   È proprio il decentramento intrapreso attraverso il Grande balzo in avanti l’aspetto su cui Barca  sembra volersi concentrare con maggiore attenzione. Nell’ambito del piano unico i vari livelli  disponevano di un’ampia autonomia in merito alla pianificazione, all’accumulazione, agli  investimenti e alla distribuzione dei prodotti; inoltre province, città e regioni avevano la facoltà di  pianificare, ad esempio, quali impianti costruire e come impiegare le risorse materiali (entro i limiti  della propria circoscrizione). Agli occhi di Barca questi aspetti permettevano alle masse di assumere  un ruolo attivo nell’elaborazione dei diversi piani locali e del piano generale combinando una  direzione centralizzata con una democrazia più estesa. Era possibile mobilitare le masse sotto la guida  del partito grazie a una articolazione che poggiava su vari livelli, dotati di potere e iniziativa[36].   L’interesse per il decentramento e la mobilitazione delle masse popolari sotto la guida del partito  permettono di ricollegarsi alla descrizione delle riforme di struttura offerta da Togliatti all’VIII  Congresso del PCI: queste erano state descritte come delle riforme che non determinavano l’avvento  del socialismo, ma che permettevano di indirizzarsi verso di esso. Tali riforme rappresentavano degli  obiettivi intermedi verso il socialismo che avrebbero modificato i rapporti di classe a vantaggio della  classe operaia in funzione “antimonopolistica”[37]. Togliatti proponeva più precisamente delle riforme per modificare i rapporti di proprietà (ad esempio una riforma agraria) e una nazionalizzazione dei  settori industriali monopolistici, il cui controllo doveva essere lasciato allo Stato consentendo,  attraverso quest’ultimo, di incrementare la rappresentanza operaia nei gruppi dirigenti[38]. Nella Rpc,  attraverso il Grande balzo in avanti, stando alle dichiarazioni di Po-Ipo, era stata riconosciuta alla  classe operaia e contadina la possibilità di prendere parte attivamente all’organizzazione e allo  sviluppo economico intrapreso dal paese. Sono questi gli elementi che spiegano l’attenzione di Barca  e del PCI verso un percorso “innovativo” di edificazione socialista: nella Rpc le masse partecipavano  direttamente alla direzione della vita economica dando vita ad una forma inedita di democrazia. 

Conclusioni

Dalla lettura degli articoli di Pajetta e Barca emerge chiaramente la visione estremamente positiva  che il comunismo italiano aveva tratto del Grande balzo in avanti, descritto come l’evento che stava  consentendo alla Cina di liberarsi dalle catene della povertà e dell’arretratezza che l’avevano a lungo imprigionata. Ma la realtà di questo programma di sviluppo economico fu completamente diversa, e  oggi ne siamo perfettamente consapevoli: il Grande balzo non fu altro che un progetto folle,  insostenibile, irrealizzabile e i cui costi umani furono estremamente elevati. 
La via italiana annunciata da Togliatti affondava le proprie radici non solo nel realismo del leader  italiano, che aveva ben compreso il contesto in cui il PCI si trovava a operare, ma anche nel giudizio estremamente positivo che il comunismo italiano aveva maturato della via cinese al socialismo, come  si è constatato non solo attraverso le parole di Pajetta e Barca, ma anche grazie al testo di Spano e al  rapporto dedicato da Scoccimarro all’VIII Congresso del PCC. Il PCI credette fermamente nella  validità della via cinese e del principio delle vie nazionali come strumenti per distaccarsi dalla via  rivoluzionaria seguita dall’Urss e costruire una società socialista in un contesto pacifico ed il 1959  coincise con il momento culminante dell’interesse del PCI per il socialismo cinese. Nessuno poteva  prevedere che i rapporti tra i due partiti, solo un anno dopo, avrebbero iniziato a incrinarsi. 
La Cina, agli occhi del PCI, rappresentò realmente una “poesia” come avrebbe cantato nel 1992  Giorgio Gaber e solo il tempo avrebbe svelato la vera natura del maoismo, le drammatiche  conseguenze del Grande balzo in avanti e l’illusione in cui il PCI e il comunismo italiano avevano  creduto.

Fonti:

FONTI D’ARCHIVIO

– Lettera di presentazione di Velio Spano al CC del PCC redatta da Palmiro Togliatti, 29 luglio  1949, FG, Apci, Estero, Cina, 1949. 

– Lettera inviata da Togliatti a Mao Zedong per informare il leader cinese dell’arrivo nella Rpc  di una delegazione del PCI guidata da Gian Carlo Pajetta, 1° aprile 1959, FG, Apci, Estero,  Cina, 1959, mf. 0464, p. 2781. 

– Verbali del viaggio in Cina della delegazione del PCI dal 6 aprile al 2 maggio 1959, FG,  Apci, Estero, Cina, mf. 0464, pp. 2782-2913.

– Verbali del viaggio in Cina della delegazione del PCI dal 6 aprile al 2 maggio 1959, incontro  del 19 aprile con Po-Ipo. FG, Apci, Estero, Cina, 1959, mf. 0464, pp. 2881-86.

FONTI A STAMPA

I seguenti articoli di “Rinascita sono stato consultati all’interno dell’emeroteca digitale della  Biblioteca Gino Bianco. Permalink: http://bibliotecaginobianco.it/?e=flip&id=36&t=elenco flipping-Rinascita. 

Scoccimarro M., Grandi successi e positivi insegnamenti della Rivoluzione cinese, “Rinascita”, anno  XIII, n. 11, novembre 1956, p. 569.

La Cina oggi e domani, “Rinascita”, A. A. V. V., anno XVI, n.7-8, luglio-agosto 1959, p. 525. Pajetta G. C., Dieci anni dalla fondazione della Repubblica popolare. La Cina verso il socialismo, in  La Cina oggi e domani, “Rinascita”, anno XVI, n. 7-8, luglio-agosto 1959, p. 526.

Barca L., Pianificazione e sviluppo economico in La Cina oggi e domani, “Rinascita”, anno XVI, n.  7-8, luglio agosto 1959 p. 533.

I seguenti articoli de “l’Unità” sono stati consultati all’interno dell’Archivio digitale de “l’Unità”.  Permalink: https://archivio.unita.news/. 

Spano è giunto a Sciangai. Il saluto del PCI a Mao Tse-Dun, “l’Unità”, anno XXXVI, n. 221,  venerdì 16 settembre 1949, p.1. 

Calamandrei F., Grande contributo al marxismo creatore. Prime considerazioni sul Congresso  cinese, “l’Unità”, anno XXXIII, n. 265, mercoledì 26 settembre 1956, p. 1.

Tra le Fonti a stampa si ricordano inoltre:

VIII Congresso del Partito comunista cinese. Atti e risoluzioni, Editori Riuniti, Roma, 1956.  VIII Congresso del Partito comunista italiano. Atti e risoluzioni, Editori Riuniti, Roma, 1956. Scoccimarro M., La rivoluzione cinese. Rapporto al CC del PCI del 20 ottobre 1956 sui lavori  dell’VIII Congresso del Partito comunista cinese (il testo di questo rapporto è stato consultato presso  la Fondazione Gramsci di Bologna). 

BIBLIOGRAFIA

Fiocco G., Togliatti, il realismo della politica. Una biografia, Carocci Editore, Roma, 2018.  Sabattini M., Santangelo P., Storia della Cina, Editori Laterza, Bari, 2005. 

Samarani G., La Cina contemporanea. Dalla fine dell’impero a oggi. Nuova edizione aggiornata e  ampliata, Einaudi Editore, Torino, 2017. 

Sassoon D., Togliatti e la via italiana al socialismo. Il Pci dal 1944 al 1964, Einaudi Editore, Torino,  1980. 

Spagnolo C., Sul Memoriale di Yalta. Togliatti e la crisi del movimento comunista internazionale  (1956-1964), Carocci Editore, Roma, 2007. 

Spano V., Nella Cina di Mao Ze-Tun, Milano-Sera Editrice, Milano, 1950.

IMMAGINE DI COPERTINA

La fotografia ritraente Pajetta, Mao e Peng Zhen è un fermo immagine del filmato “Viaggio in Cina della delegazione del PCI” custodito nell’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico (AAMOD). È posdibile visionare il filmato integrale consultando il sito del suddetto Archivio. Permalink: http://patrimonio.aamod.it/aamod-web/film/detail/IL8300001158/22/viaggio-cina-della-delegazione-del-pci.html?startPage=0&idFondo=IL8000000009


Note:

[1] Lettera di presentazione di Velio Spano al CC del PCC redatta da Palmiro Togliatti, 29 luglio 1949,  FG, Apci, Estero, Cina, 1949. 

[2] Spano è giunto a Sciangai. Il saluto del PCI a Mao Tse-Dun, “l’Unità”, anno XXXVI, n. 221,  venerdì 16 settembre 1949, p.1.

[3] Spano V., Nella Cina di Mao Ze-Tun, Milano-Sera Editrice, Milano, 1950.

[4] Ivi, cit. p. 163.

[5] Ivi, cit. p. 65.

[6] Ivi, cit. p. 60.

[7] Ivi, p. 64.

[8] Ivi, p. 66.

[9] Zedong M., VIII Congresso del Partito comunista cinese. Atti e risoluzioni, Editori Riuniti, Roma,  1956, p. 14.

[10] Liu Shaoqi (1898-1969). Studiò a Mosca nei primi anni Venti e al suo ritorno lavorò con Li Lisan  all’interno del movimento sindacale. Partecipò alla prima fase della Lunga Marcia ma poi rimase  nell’area centromeridionale del paese a condurre il lavoro politico e militare. Nel 1959 divenne  presidente della Repubblica e si affermò come il successore designato di Mao: la Rivoluzione  Culturale spezzò tuttavia i suoi progetti e le sua ambizioni, identificandolo come l’obiettivo numero uno della critica delle guardie rosse. Morì nel 1969 isolato e abbandonato e venne riabilitato solo  nel 1980. Profilo biografico contenuto in Samarani G., La Cina contemporanea. Dalla fine  dell’Impero a oggi. Nuova edizione aggiornata e ampliata, Einaudi Editore, Torino, 2017, p. 491.

[11] Shaoqi L., VIII Congresso del Partito comunista cinese. Atti e risoluzioni, Editori Riuniti, Roma,  1956, cit. p. 60.

[12] Shaoqi L., ivi, cit. p. 63.

[13]Scoccimarro M., ivi, p. 323.

[14] Calamandrei F., Grande contributo al marxismo creatore. Prime considerazioni sul Congresso  cinese, “l’Unità”, anno XXXIII, n. 265, mercoledì 26 settembre 1956, p. 1.

[15] Scoccimarro M., La rivoluzione cinese. Rapporto al CC del PCI del 20 ottobre 1956 sui lavori  dell’VIII Congresso del Partito comunista cinese, cit. p. 11.

[16] Ivi, cit. p. 36.

[17] Ibidem.

[18] Scoccimarro M., Grandi successi e positivi insegnamenti della Rivoluzione cinese, “Rinascita”,  anno XIII, n. 11, novembre 1956, p. 569.

[19] Per approfondire l’importanza dell’VIII Congresso del PCI si consulti Fiocco G., Togliatti, il  realismo della politica. Una biografia, Carocci Editore, Roma, 2018, pp. 315-320.

[20]  Togliatti P., in VIII Congresso del Partito comunista italiano. Atti e risoluzioni, Editori Riuniti,  Roma, 1957, p. 53.

[21] Lettera inviata da Togliatti a Mao Zedong per informare il leader cinese dell’arrivo nella Rpc di  una delegazione del PCI guidata da Gian Carlo Pajetta, 1° aprile 1959, FG, Apci, Estero, Cina,  1959, mf. 0464, p. 2781.

[22]  Verbali del viaggio in Cina della delegazione del PCI dal 6 aprile al 2 maggio 1959, FG, Apci,  Estero, Cina, mf. 0464, pp. 2782-2913.

[23]  La Cina oggi e domani, “Rinascita”, anno XVI, n.7-8, luglio-agosto 1959, p. 525.

[24] Pajetta G. C., Dieci anni dalla fondazione della Repubblica popolare. La Cina verso il  socialismo, in La Cina oggi e domani, “Rinascita”, anno XVI, n. 7-8, luglio-agosto 1959, p. 526.

[25] Ivi, p. 527.

[26] Ivi, p. 529.

[27] Ivi, p. 530.

[28] Ibidem.

[29] Ibidem.

[30] Ibidem.

[31] Barca L., Pianificazione e sviluppo economico in La Cina oggi e domani, “Rinascita”, anno XVI,  n. 7-8, luglio agosto 1959 p. 533.

[32] Ivi, p. 534.

[33] Ibidem.

[34] Verbali del viaggio in Cina della delegazione del PCI dal 6 aprile al 2 maggio 1959, incontro del  19 aprile con Po-Ipo. FG, Apci, Estero, Cina, 1959, mf. 0464, pp. 2881-86.

[35] Sabattini M., Santangelo P., Storia della Cina, Editori Laterza, Bari, 2005, p. 616.

[36] Barca L., Pianificazione e sviluppo economico, pp. 536-537.

[37] Spagnolo C., Sul Memoriale di Yalta. Togliatti e la crisi del movimento comunista internazionale  (1956-1964), Carocci Editore, Roma, 2007, p. 148.

[38] Ivi, p. 149.

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