Il sacro tocco di Jaffa


Gros A. J., Bonaparte visitant les Pestiférés de Jaffa , 1804, Figura 1.

STORIA DI UN MIRACOLO NELL’ETA’ DELLA RIVOLUZIONE

Di Daniele Cal

«Vous vous confessez! Eh bien, moi, je suis oint,
 vous pouvez vous confesser à moi» (Napoléon)[1]

Abstract

La celebre opera Les Rois thaumaturges di Bloch, ormai assurta a classico della storiografia di tutti i tempi, termina la sua narrazione nel 1825 ma dimentica di indicare come il tocco taumaturgico oltrepassi la Rivoluzione francese. Aspetto del tutto trascurato, è attraverso Napoleone e la costruzione artistica della sua figura nel quadro di Gros e nelle parole di Girodet che la taumaturgia torna a riemergere. Unendo gli strumenti della storiografia, dell’antropologia storica e della storia dell’arte, il presente articolo cerca di comprendere i meccanismi che stanno alla base della costruzione di un mito moderno, dalla sua nascita, alla sua narrazione e alla sua sopravvivenza in un’epoca storica cruciale per la contemporaneità.

La célèbre œuvre Les Rois thaumaturges de Bloch, devenue un classique de l’historiographie de tous les temps, termine son récit en 1825 mais elle oublie d’indiquer que la touche thaumaturgique dépasse la Révolution française. Aspect tout à fait négligé, c’est à travers Napoléon et la construction artistique de sa figure dans le cadre de Gros et dans les paroles de Girodet que la thaumaturgie refait surface. En combinant les outils de l’historiographie, de l’anthropologie historique et de l’histoire de l’art, cet article cherche à comprendre les mécanismes qui sous-tendent la construction d’un mythe moderne, depuis sa naissance, jusqu’à son récit et sa survie dans une époque historique cruciale pour la contemporanéité.

One of the most famous of Bloch’s works Les Rois thaumaturges, which is now a classic of historiography, ends its narration in 1825 but forgets to show how the thaumaturgical touch reaches beyond the French Revolution. In fact, thaumaturgy returns to the cultural landscape of France through Napoleon and the artistic construction of his figure in the painting of Gros and in the words of Girodet. Combining the tools of historiography, historical anthropology and art history, this article seeks to understand the mechanisms that underlie the construction of a modern myth, from its birth to its narration and its survival in a crucial historical era for contemporaneity.

Il sacro tocco di Jaffa

Introduzione

Nel 1924 Marc Bloch pubblica il saggio Les rois thaumaturges, «la storia di un miracolo e della credenza in questo miracolo» o, più precisamente, la sua «storia totale», come l’ha definita Jacques Le Goff[2]. L’opera, conosciuta in tutto il mondo, analizza un fatto storico molto preciso: la credenza nel tocco miracoloso (taumaturgico) attribuito ai sovrani di Francia soprattutto, ma non solo, nella cura dei malati di scrofola. Ma lo fa non tanto nel quadro di un preciso momento storico – e questa è una delle novità più importanti dell’opera – bensì all’interno del suo arco cronologico di sviluppo, dalle origini medievali alla sua inevitabile conclusione tra Sette e Ottocento, secondo le più recenti (per l’epoca) correnti storiografiche, che andranno in seguito a confluire nell’École des Annales, fondata nel 1929. Ai fini della presente trattazione non sarà necessario soffermarsi su quest’opera tranne che per un fatto che dà origine alla presente ricerca.

Se infatti per Bloch la fine di questa storia ha una data e un nome precisi, 31 maggio 1825 e re Carlo X di Borbone[3], rimane tuttavia sostanzialmente inesplorato quello iato che va dal 1789 al 1815, ossia l’esperienza rivoluzionaria e napoleonica, la cui presenza non giustificherebbe di per sé la ripresa di questa credenza durante la Restaurazione. A proposito della Rivoluzione, infatti, Bloch si limita giustamente a sostenere che la monarchia dovette abbandonare qualsivoglia prerogativa di natura divina (droit divin[4]). L’esperienza napoleonica è invece totalmente taciuta. Napoleone non compare che in una nota[5], quando Bloch ricorda una battuta che l’imperatore a Sant’Elena disse al barone Gourgaud, compagno d’esilio, che lamentava la mancanza di sacerdoti: «Vous vous confessez! Eh bien, moi, je suis oint, vous pouvez vous confesser à moi!»[6] . Grazie a questa nota Bloch accostava in un modo sottile e non troppo esplicito il “figlio della Rivoluzione” alla linea dei re taumaturghi. In questo caso particolare il concetto espresso ironicamente da Napoleone veniva equiparato ad alcune parole, tutt’altro che ironiche, attribuite a Carlo I d’Inghilterra e contenute nell’Eikon Basiliké:

«It may be, I am esteemed by my deniers sufficient of myself to discharge my duty to God as a priest: though not to men as a prince. Indeed I think both offices, regal and sacerdotal, might well become the same person, as anciently they were under one name, and the united rights of primogeniture»[7].

Napoleone è dunque coerentemente collocato dentro il quadro delineato nell’opera, ma in una luce del tutto originale e particolare, visto l’aneddoto scelto. Eppure, questa nota non pare sufficiente a spiegare il ruolo assunto da questa figura nel traghettare la credenza nel tocco taumaturgico oltre il tumultuoso fiume rivoluzionario. Troppe domande rimangono insolute: come sopravvisse il tocco taumaturgico? Si palesò in qualche circostanza? Come veniva considerato questo droit divin da Napoleone, da un lato, e dal resto della popolazione francese, dall’altro?

Non si sa – racconta Bloch – quando Luigi XVI, il Roi Martyr della Rivoluzione, compì il suo ultimo “tocco”[8] – mentre si ha notizia del primo nel 1775 , l’indomani della sua incoronazione come da tradizione[9]. A quel tempo gli illuministi avevano già da tempo gettato ampio discredito sulla faccenda[10], ma certamente solo con la rivoluzione dell’89 si potrà davvero dare un colpo di grazia alla questione, almeno apparentemente. Sorprendentemente, questa regalità abbattuta a colpi di ghigliottina sarebbe ritornata sotto una diversa veste nel 1804 con l’ascesa di Napoleone al soglio imperiale, e con essa sarebbe ricomparso anche il tocco taumaturgico. Bloch però di questo non ne fa menzione.

Bisognerà aspettare la pubblicazione nel 1942 dell’articolo Napoleon as “Roi Thaumaturge” da parte di Walter Friedlaender sul Journal of the Warburg and Courtauld Institutes prima di veder formulato chiaramente l’accostamento tra la pratica taumaturgica e la figura di Napoleone[11]. Tuttavia, in appena tre facciate di testo, l’autore si limita in pratica solo a constatare il fatto e poco altro, individuandone l’origine nel dipinto Bonaparte visitant les Pestiférés de Jaffa di Antoine-Jean Gros, che in questo come in altre opere ha saputo mettere bene in risalto – afferma Friedlaender – l’umanitarismo più o meno propagandato dell’Imperatore dei Francesi. Questo articolo appare dunque del tutto insoddisfacente qualora ci ponessimo come obiettivo un’analisi completa del fatto storico.

È dunque necessario compiere un passo indietro e rianalizzare questo evento partendo da ciò che accadde realmente a Jaffa e da come quel momento fu vissuto dai contemporanei. Il passo ulteriore sarà la ricostruzione della storia del dipinto di Gros, delineando il contesto culturale e i motivi dietro la scelta del soggetto, per verificare come e perché venne introdotto il tocco taumaturgico, e se esso ebbe effettivamente un impatto culturale, e di quale entità.

La peste di Jaffa

Grazie alla straordinaria mole di studi prodotti sull’età napoleonica[12], possiamo accingerci facilmente alla ricostruzione dei fatti, in quanto universalmente accettata dagli storici. Nel luglio 1798 il generale Bonaparte aveva intrapreso una spedizione militare e scientifica in Egitto destinata da un lato ad ottenere vantaggi politici, economici e strategici alla Repubblica Francese[13], dall’altro col fine di «aprirlo [l’Egitto] completamente, per renderlo accessibile all’osservazione europea»[14]. Al di là di queste considerazioni che purtroppo non possono trovare qui maggiore spazio, è entro questa cornice storica che si colloca l’avvenimento centrale di questa trattazione.

Il 3 marzo 1799 l’Armée d’Orient al comando del generale Bonaparte giunse presso l’antica città di Jaffa (oggi in Israele), assediandola e prendendola d’assalto senza molta difficoltà il 7 dello stesso mese. Le successive violenze perpetrate ai danni della popolazione e della guarnigione, che sempre accompagnano la guerra, avevano causato la diffusione del morbo pestifero tra i soldati francesi. Poco prima della ripartenza dell’esercito, la situazione era già divenuta pesante:

«I sintomi della peste eransi già manifestati a quell’ora. Molti soldati della 32a mezza brigata furono i primi ad esser colpiti da quel miserando malore, ed un rapporto dei generali Bon e Rampon contristò profondamente il generale in capite; il quale temè che la pestilenzia non si propagasse su tutto il suo esercito. Fu aperto allora a Jaffa un ospedale per gli appestati, ove ebbe luogo quella scena famosa da cui il signor Gros ha tratto il soggetto per uno dei capi d’opera della pittura francese. [L’11 marzo] Bonaparte ne visitò tutte le sale accompagnato dai generali Berthier e Bessières, dall’ordinatore in capo Daure e dal medico maggiore Desgenettes. Il generale parlò agli ammalati, li rincorò, e toccò le loro piaghe dicendo loro: «Voi vedete bene da voi medesimi che la malattia non è micidiale come volgarmente si crede». Allorché egli uscì fu vivamente rimproverato dalla sua imprudenza, ed egli freddamente rispose: «È il mio dovere; sono il generale in capo». Questa visita e la generosità di Desgenettes, che inoculandosi la peste alla presenza dei nostri soldati, guarivasi con quei rimedi stessi che soleva agli altri amministrare, rassicurarono alquanto il morale dell’esercito caduto nell’abbattimento all’apparire di quel morbo sconosciuto nei nostri climi: e fin da quel momento tutti gli ospedali furono sottoposti allo stesso governo»[15].

A scrivere questo resoconto nella traduzione italiana del 1839 è Jacques De Norvins (1769-1854), politico, giornalista e storico devoto alla causa napoleonica, celebre per aver realizzato una biografia edita nel 1827 che conobbe uno straordinario successo editoriale, contribuendo a fondare la leggenda aurea dell’Imperatore[16]. Si tratta quindi di un testo di riferimento per la successiva storiografia napoleonica, nonché uno dei testi più emblematici della corrente “bonapartista” all’interno del panorama di studi sull’argomento. La descrizione è chiara: tralasciando gli aspetti che l’autore ha sottilmente voluto mettere in risalto, come il coraggio e il carisma del generale in capo, ci si può accorgere che tuttavia è totalmente assente un qualsiasi riferimento all’atto taumaturgico. Piuttosto, da queste poche righe sembra che il generale nel dare coraggio agli ammalati abbia puntato più sulla ragione che su un atto di fede: egli tocca i malati quasi a dimostrare che non hanno nulla da temere dalla malattia[17]. O meglio, l’atto di fede c’è, ed è quello che il generale chiede ai suoi uomini nei suoi confronti mentre minimizza la pericolosità della malattia, ma non riguarda alcun potere a lui trascendente[18]. La differenza è sottile ma decisiva.

Appurato che le prime ricostruzioni storiche non colgono l’aspetto rilevato successivamente da Friedlaender nel suo articolo Napoleon as “Roi Thaumaturge”[19], è necessario verificare dalle testimonianze dell’epoca se vi sono degli indizi utili. Fortunatamente, la memorialistica non è affatto scarsa o lacunosa: conserviamo una Histoire médicale de l’Armée d’Orient scritta dal medico maggiore René-Nicolas Dufriche, barone Desgenettes, il quale scrive il seguente resoconto della giornata:

«Le 21 [ventôse an VII], le général en chef, suivi de son état-major, vint visiter les hôpiteaux. Un moment avant son départ du camp le bruit s’étoit répandu jusque dans sa tente que plusieurs militaires étoient tombés morts en se promenant sur le quai: le fait est simplement que des infirmiers turks, chargés de jeter à la mer des hommes morts dans la nuit à l’hôpital, s’étoient contentés de les déposer devant la porte de cet établissement. Le général parcourut les deux hôpiteaux, parla à preqsque  tous les militaires, et s’occupa plus d’une heure et demie de tous les détails d’une bonne et prompte organisation; se trouvant dans une chambre étroite et très encombrée, il aida à soulever le cadavre hideux d’un soldat dont les habits en lambeaux étoient souillés par l’ouverture d’un bubon abscédé. Après avoir essayé sans affectation de reconduire le général en chef vers la porte, je lui fis entendre qu’un plus long séjour devenoit beaucoup plus qu’inutile. Cette conduite n’a pas empêche que l’on ait souvent murmuré dans l’armée sur ce que je ne m’étois pas opposé plus formellement à la visite si prolongée du général en chef: ceux-là le connoissent bien peu qui croient qu’il est des moyens faciles pour changer ses résolutions ou l’intimider par quelques dangers»[20].

Come ci si aspetterebbe da un medico, non compare alcun accenno ad un tocco miracoloso, mentre la ricostruzione dei fatti rimane sostanzialmente inalterata. Particolare curioso e differente rispetto alla ricostruzione del Norvins, per Desgenettes il generale in capo più che “toccare” un malato diede l’esempio aiutando proprio a sollevare e spostare un cadavere. L’effetto sul morale della truppa è fuori questione, ma concettualmente è una situazione opposta. Anche altri testimoni della giornata, in particolare il capo di stato maggiore Berthier e l’ufficiale Bourienne, non fanno alcun accenno a qualsivoglia “tocco” nelle loro memorie[21].

Di fronte all’assenza di qualsiasi riferimento in questi testi, sorge quindi spontanea la domanda sul dove compaia per la prima volta, posto a priori che la tesi di Friedlaender sia corretta. È necessario quindi analizzare, in ultima istanza, il dipinto che ha dato origine alla questione, Bonaparte visitant les Pestiférés de Jaffa  di Antoine Jean Gros.

La storia in un dipinto

Antoine Jean Gros (1771-1835), allievo del celebre Jacques Louis David (1748-1825), era all’epoca dei fatti un pittore affermato. Già conosciuto per alcuni ritratti realizzati per i membri della Convenzione nazionale, nel 1793 le turbolenze politiche lo avevano spinto a compiere un viaggio in Italia, anche al fine di perfezionare la sua arte. Nel 1796 ebbe la fortuna di conoscere il generale in capo dell’Armée d’Italie, Bonaparte, il quale riconobbe subito il valore dell’artista commissionandogli il celebre Bonaparte au pont d’Arcole (1796). Non lo seguì però in Egitto, diversamente da molti artisti e scienziati, preferendo prolungare la sua permanenza in Italia. Dunque, quando nel 1804, tornato in Francia da qualche anno, gli fu commissionato dallo stesso primo console Napoleone un dipinto su Jaffa, Gros dovette affidarsi alle testimonianze ufficiali, in particolare quella dell’artista Dominique Vivant Denon (1747-1825)[22], che dal 1800 era divenuto il direttore generale del Musée Napoléon, oggi Louvre. Nemmeno Denon in realtà fu testimone oculare della giornata dell’11 marzo 1799 a Jaffa, in quanto apprendiamo dalle sue memorie – Voyage dans le Basse et le Haute Egypte[23] – che egli in realtà non aveva seguito il generale Bonaparte in Siria, ma il suo subordinato generale Desaix lungo le rive del Nilo.

Gros J. A., Première esquisse des Pestiférés de Jaffa, 1804, Figura 2

Con tali premesse, possiamo arrivare ad una prima conclusione: il “sacro tocco” di Jaffa non è mai avvenuto. Non solo, esso fu propriamente “inventato” dall’artista. Possediamo infatti due disegni preparatori al quadro in grado di dimostrarcelo, molto diversi circa l’azione compiuta dal soggetto del dipinto. Il primo di questi, quello che poi venne scartato, raffigura il generale Bonaparte a Jaffa secondo la descrizione tramandataci dal medico Desgenettes: in una stanza stretta e affollata, il generale Bonaparte accompagnato dal suo entourage è intento a sollevare il corpo senza vita di un appestato, la cui gamba è bagnata dai liquidi fuoriusciti dall’ascesso di un bubbone (v. Figura 2).

All’apertura del Salon il 18 settembre 1804 fu presentata invece la realizzazione del secondo bozzetto – quello che oggi possiamo vedere ospitato in una delle sale del Louvre (v. Figura 1) – con la seguente descrizione:

«[…] Pour éloigner davantage l’effrayante idée d’une contagion subite et incurable, il fit ouvrir devant lui quelques tumeurs pestilentielles, et en toucha plusieurs. Il donna, par ce magnanime dévouement, le premier exemple d’un genre de courage inconnu jusqu’alors, et qui fit depuis des imitateurs»[24].

Il cambiamento è decisivo. Gros mostra di aver fatto tesoro dell’esperienza maturata in Italia, mostrandoci il generale Bonaparte in una posa che ricorda da vicino la ritrattistica di San Rocco o San Carlo Borromeo[25], ma qui la calma imperturbabile della santità è stata trasformata e rinnovata dal razionalismo rivoluzionario e dalla particolare quanto straordinaria qualità individuale del generale in capo, mentre la cornice al soggetto presenta un vortice di malati e disperati rappresentati in una posa dinamica, dominati nelle loro espressioni dai più profondi e laceranti sentimenti, come suggerito dalla figura in ombra in primo piano, sulla sinistra, di michelangiolesco ricordo.

Sebbene il riferimento non sia del tutto esplicito, sia visivamente che attraverso la descrizione che lo accompagnava durante la sua prima esposizione al Salon del 1804 il dipinto suggerisce all’osservatore del tempo una pratica che in molti ricordavano ancora: il tocco della piaga del malato. Come accennato in precedenza, l’ultima cerimonia taumaturgica era avvenuta nel 1775[26], quindi è del tutto verosimile che vi fossero persone che, trent’anni dopo, potessero ricordare il precedente creando un collegamento tra le due circostanze. Oltretutto, il ricordo della monarchia era ancora assai vivo – d’altronde Luigi XVI era stato ghigliottinato solo undici anni prima e il “partito” monarchico francese era stato solo molto recentemente debellato[27].

Una creazione ad arte, quindi, ma densa di significato. Il successo fu straordinario per Gros: il pubblico lo applaudì e in suo onore fu organizzato un banchetto, mentre il suo nume tutelare Vivant Denon scriveva al primo console Napoleone congratulandosi del successo e addirittura paragonando il giovane pittore al Tintoretto o al Veronese[28]. Durante i festeggiamenti, l’amico Girodet (1767-1824) recitò un componimento che racchiudeva bene il significato dell’opera e manifestava altrettanto chiaramente il sentimento del pubblico:

«[…] C’est peu: lui-même encor, d’une main intrépide, / au péril de ses jours, touche leur mal fétide; / Desgenettes en vain l’avertit du danger, / qu’on le vit, si souvent, lui-même partager. / Cependant le bruit court, dans ce lieu de misère, / qu’on a vu s’y montrer un ange tutélaire; / aussitôt tout s’émeut, tous accourent le voir; / et dans leurs yeux mourants, brille un rayon d’espoir. / […] Si le héros lui parle, il est sûr de guérir. […]»[29].

È una vera e propria trasfigurazione in cui il sacro si unisce al profano, i caratteri sacrali di un santo si manifestano congiuntamente al nuovo spirito rivoluzionario e pre-romantico: il generale Bonaparte è il nuovo eroe della nuova Francia. Quanta differenza rispetto a ciò che avvenne l’11 marzo di cinque anni prima! Eppure è questa la versione che popolarmente si afferma nelle menti e nei cuori di chi quei fatti non li ha potuti vedere.

Il console Bonaparte si compiacque, giustamente, dell’opera. Se non altro per il fatto che, pur non essendo ancora un “unto” – come lo diverrà da lì a pochi mesi, nel dicembre 1804 – l’ambiguità della rappresentazione è tutta a suo favore, «efficacemente sospeso tra la sacralità di un re taumaturgo e la determinazione volontaristica di un eroe contemporaneo»[30]; ad un tempo continuatore dei fasti carolingi, a cui la sua politica continuamente si richiamava[31], e rigeneratore della mentalità francese.

Nonostante il “sacro tocco di  Jaffa” si riveli, alla fine, un’invenzione, essa ha nondimeno[3]  plasmato il ricordo dei contemporanei traghettando, pur con diversi mezzi, questa antica pratica al di là della Rivoluzione stessa. Come dirà lo stesso Napoleone a Sant’Elena: «Quanto è forte negli uomini la potenza dell’immaginazione! […] Vedete gli effetti dell’entusiasmo? Sì è proprio vero: l’immaginazione governa il mondo»[32].

Fonti:

FONTI A STAMPA

Desgenettes Nicolas René Dufriche, Histoire médicale de l’Armée d’Orient, Croullebois, Bossanger, Masson et Besson ed., Paris, 1802;

Gourgaud Gaspard, Aubry Octave (a cura di), Sainte-Hélène. Journal inédit de 1815 à 1818, Ernest Flammarion Ed., Paris, 1944-1947;

Norvins Jacques Marquet De Montbreton De, Storia di Napoleone, Tip. Elvetica, Capolago, 1839;

FONTI ICONOGRAFICHE

Gros Antoine Jean, Première esquisse des Pestiférés de Jaffa (1804), 93.98 x 113.03 cm, olio su tela, New Orleans Museum of Art, New Orleans, USA.

Bonaparte visitant les pestiférés de Jaffa (1804), 532 x 720 cm, olio su tela, Musée du Louvre, Paris, France.

BIBLIOGRAFIA 

Bloch Marc, Les rois thaumaturges, Libraire Istra, Strasbourg, 1924;

Chandler David G., The campaigns of Napoleon, Scribner, New York, 1966; trad. it. Le Campagne di Napoleone, BUR Rizzoli, Milano, 2010;

Chimot Jean Philippe, La vérité sur le mensonge. De Gros à Daumier, in «Écrire l’histoire», n. 9, a. 2012, pp. 47-56, in linea: http://journals.openedition.org/elh/236;

Delestre Jean-Baptiste, Gros. Sa vie et ses ouvrages, Renouard ed., Paris, 1867;

Friedlaender Walter, Napoleon as “Roi Thaumaturge”, in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», apr. 1941 – jul. 1942, vol. 4, n. 3/4, pp. 139-141;

Grigsby Darcy Grimaldo, Rumor, Contagion, and Colonization in Gros’s Plague-Stricken of Jaffa (1804), in «Representations», estate 1995, n. 51, Un. Of California Press, pp. 1-46;

Lentz Thierry, Napoléon et Charlemagne, in Napoléon et l’Europe. Regards sur une politique, Lentz Thierry (a cura di), Fayard, Paris, 2004;

Migliorini Luigi Mascilli, Napoleone, Salerno Editrice, Roma, 2020;

Said Edward, Orientalism, Vintage Books Edition, New York, 1979;

Tripier Le Franc Jean, Histoire de la vie et de la mort du Baron Gros, le grand peintre, Martin & Baur ed., Paris, 1880;

Tulard Jean, Napoléon ou le mythe du sauveur, Fayard, Paris, 1977, trad. ita. Napoleone. Il mito del salvatore, Rusconi, Milano, 1994;

SITOGRAFIA

https://www.napoleon.org/histoire-des-2-empires/biographies/norvins-jacques-de-baron-marquet-de-montbreton-1769-1854-administrateur-et-historien-de-napoleon/


NOTE:

[1] Gourgaud G., Aubry O. (a cura di), Sainte-Hélène. Journal inédit de 1815 à 1818, t. II, p. 143, Ernest Flammarion Ed., Paris, 1944-1947

[2] Le Goff J., prefazione a Bloch M., Ed. Gallimard, Paris, 1983;

[3] V. Bloch M., Les rois thaumaturges, Libraire Istra, Strasbourg, 1924, pp. 403-404;

[4] Ivi. p. 401;

[5] Ivi, p. 350, n. 1;

[6] «Voi vi confessate? Eh ben, caro mio, io sono unto, vi potete confessare davanti a me!», v. n. 1, trad. mia, Ibid.;

[7] «Probabilmente i miei denigratori mi ritengono capace per me stesso di assolvere al mio dovere verso Dio come sacerdote, ma non verso gli uomini come principe. Invero, penso che i due uffici, regale e sacerdotale, possano ben unirsi nella stessa persona, come anticamente lo erano sotto un unico nome, e i diritti uniti di primogenitura», cit. Ibid., trad. mia;

[8] M. Bloch, Les rois… op. cit., p. 399;

[9] Ibid.;

[10] Voltaire, tra tutti, dirà: «Le temps viendra que la raison, qui commence à faire quelque progrès en France, abolira cette coutume» («Verrà il tempo in cui la ragione, che comincia a fare qualche progresso in Francia, abolirà questo costume» trad. mia), da Voltaire, Essai sur les Moeurs, t. XI, chap. XLII, p. 365, citato in M. Bloch, Le rois… op. cit., p. 399;

[11] W. Friedlaender, Napoleon as “Roi Thaumaturge”, in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», apr. 1941 – jul. 1942, vol. 4, n. 3/4, pp. 139-141;

[12] Se ne conta un numero maggiore dei giorni che ci separano dalla sua morte. Jean Tulard, Napoléon ou le mythe du sauveur, Fayard, Paris, 1977, trad. ita. Napoleone. Il mito del salvatore, Rusconi, Milano, 1994, p. 13;

[13] J. Tulard, Napoléon… op. cit., pp. 111-115;

[14] E. Said, Orientalism, Vintage Books Edition, New York, 1979, p. 83, trad. mia;

[15] J. De Norvins, Storia di Napoleone, Tip. Elvetica, Capolago, 1839, p. 140;

[16] J. Michaud, Biographie universelle, t. 31, p. 61; Dictionnaire Napoléon, p. 1254, notice Jean Tulard, citati in https://www.napoleon.org/histoire-des-2-empires/biographies/norvins-jacques-de-baron-marquet-de-montbreton-1769-1854-administrateur-et-historien-de-napoleon/;

[17] In realtà a torto e con grande rischio, dato che su 300 ammalati ne sopravvissero 36. V. David G. Chandler, The campaigns of Napoleon, Scribner, New York, 1966; trad. it. Le Campagne di Napoleone, BUR Rizzoli, Milano, 2010, v. 1, p. 315;

[18] D. G. Grigsby, Rumor, Contagion, and Colonization in Gros’s Plague-Stricken of Jaffa (1804), in «Representations», estate 1995, n. 51, Un. Of California Press, p. 9;

[19] V. n. 11;

[20] «Il 21 [ventoso anno VII, 11 marzo 1799], il generale in capo, seguito dal suo stato maggiore, venne a visitare gli ospedali. Un momento prima della sua partenza dall’accampamento si era sparsa la voce fino alla sua tenda che molti militari erano caduti morti mentre camminavano sulla strada: il fatto è semplicemente che degli infermieri turchi, incaricati di gettare a mare gli uomini morti durante la notte presso l’ospedale, s’erano accontentati di depositarli davanti all’uscita di questo. Il generale percorse i due ospedali, parlando con quasi tutti i militari, e si occupò per più di un’ora e mezza di tutti i dettagli per una buona e pronta organizzazione; trovandosi presso una camera stretta e assai affollata, aiutò a sollevare il cadavere orrendo d’un soldato i cui abiti in brandelli s’erano insozzati per l’apertura dell’ascesso di un bubbone. Dopo aver provato senza affettazione di ricondurre il generale in capo verso l’uscita, gli feci intendere che un soggiorno prolungato sarebbe divenuto più che inutile. Questa condotta non impedì che si mormorasse sovente presso l’armata che non mi fossi più formalmente opposto alla visita prolungata del generale in capo: lo conoscono ben poco quelli che credono che esistano mezzi facili per fargli cambiare risoluzione o intimidirlo per qualche pericolo». Da R. Desgenettes, Histoire médicale de l’Armée d’Orient, Croullebois, Bossanger, Masson et Besson ed., Paris, 1802, pp. 49-50, trad. mia;

[21] J. P. Chimot, La vérité sur le mensonge. De Gros à Daumier, in «Écrire l’histoire», n. 9, a. 2012, in linea: http://journals.openedition.org/elh/236, p. 49;

[22] J. Tripier Le Franc, Histoire de la vie et de la mort du Baron Gros, le grand peintre, Martin & Baur ed., Paris, 1880, p. 206;

[23] D. V. Denon, Voyage dans le Basse et le Haute Egypte, Didot L’Aine ed., Paris, 1802;

[24] «[…] Per allontanare maggiormente la spaventosa idea di un contagio improvviso e incurabile, fece aprire davanti a lui qualche tumore pestilenziale, toccandone molti [corsivo mio]. Egli dona, per questo magnanimo sacrificio, il primo esempio di un genere di coraggio sconosciuto fino ad allora, e che da allora ha conosciuto degli imitatori», P. Sanchez, X. Seydoux, Les Catalogues des Salons, L’Échelle de Jacob, t. 1, 1801-1819, 1999, a sua volta citato in Jean Philippe Chimot, La vérité… op. cit.,p. 49, trad. mia;

[25] Soggetti che Gros aveva studiato, v. Friedlaender, Napoleon… op. cit., p. 140;

[26] V. n. 8;

[27] Basti ricordare che il colpo di grazia, la cattura e l’esecuzione del Duca d’Enghien, avvenne nel marzo 1804. Da ciò deriva anche la considerazione che il dipinto di Gros non può essere circoscritto facilmente ad un atto di sfacciata propaganda ordinata da un regime autoritario stabilizzato, in quanto la situazione politica era tutt’altro che certa nel 1804. V. Grigsby, Rumor… op. cit., p. 4;

[28] J.-B. Delestre, Gros. Sa vie et ses ouvrages, Renouard ed., Paris, 1867; pp. 92 e 93;

[29] «Non basta: lui stesso [Bonaparte], con mano intrepida, / a rischio dei suoi giorni, tocca il loro mal fetido; / Desgenettes invano l’avverte del pericolo, / che abbiamo visto lui stesso condividere così spesso. / Tuttavia c’è una voce in questo luogo di miseria, / che abbiamo visto manifestarsi in un angelo custode; / subito tutto si sposta, tutti accorrono a vederlo; / e sui loro occhi morenti, brilla un raggio di speranza. / […] Se l’eroe gli parla, egli è sicuro di guarire. […]», Ivi, p. 92, trad. mia;

[30] L. Mascilli Migliorini, Napoleone, Salerno Editrice, Roma, 2020, p. 151;

[31] «Comme son époque, Napoléon avait “l’obsession de l’histoire”. Il y puisait des références, des symboles, des examples. Il mit cette matiére au service de sa légitimité et de sa politique, voulant ainsi placer son règne dans la continuité de l’histoire de France, des Gaulois, à ses prédecesseurs directs, y compris les Bourbons.», Thierry Lentz, Napoléon et Charlemagne, in Napoléon et l’Europe. Regards sur une politique, Thierry Lentz (a cura di), Fayard, Paris, 2004, p.11;

[32] E. De Las Cases, Il Memoriale di Sant’Elena, Gherardo Casini Ed., Roma, 1962, v. 1,p. 260.


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