di Federico Dionisi
Abstract
Il 25 aprile 1974 l’esercito portoghese metteva fine alla più longeva dittatura fascista d’Europa. La Rivoluzione dei garofani, come verrà chiamata, segnerà non solo l’inizio della transizione democratica per la penisola iberica ma per molti, in Portogallo come nel mondo, rappresenterà la speranza, in seguito disattesa, di una trasformazione in senso socialista della società.
On the 25th of april 1975 the Portuguese army overthrew the oldest fascist dictatorship of Europe. The “carnation revolution”, as it will be called, not only led to the democratic transition in the Iberian peninsula but it represented for many, in Portugal and in the whole world, the hope, later disregarded, of a transformation in a socialist way of the society.
Le 25 avril 1974, l’armée portugaise mettait fin à la plus longue dictature fasciste d’Europe. La Révolution des œillets, comme on l’appellera, marquera non seulement le début de la transition démocratique de la péninsule ibérique mais, pour beaucoup de gens, au Portugal comme dans le monde, elle représentera l’espoir, finalement négligé, d’une transformation de la société dans le sens du socialisme.
Garofani rossi a Lisbona
Nella notte tra il 24 e il 25 aprile del 1974, un colpo di Stato operato dalle forze armate portoghesi metteva fine alla più longeva dittatura d’Europa. La Rivoluzione dei garofani, come verrà poi chiamata, significherà per il Portogallo non solo l’inizio della transizione alla democrazia, ma anche l’avvio di un vero e proprio processo rivoluzionario di stampo socialista, che susciterà allo stesso tempo timori e grandi speranze nell’Europa intera.
Il Portogallo, piccolo paese ai margini del continente, era retto da un regime autoritario detto Estado Novo, istituito da Antonio de Oliverira Salazar tra la fine degli anni ’20 e l’inizio degli anni ‘30[1] e in gran parte modellato sul fascismo italiano. Cardini dell’Estado Novo erano l’organizzazione corporativa dell’economia, il clericalismo, l’antiparlamentarismo e la difesa del vasto e secolare impero coloniale portoghese. Base sociale del regime era la grande borghesia agraria, che negli anni della Repubblica aveva visto i propri privilegi messi in discussione dai fermenti liberali e democratici.
Tenutosi prudentemente al di fuori del Secondo conflitto mondiale, il Portogallo salazarista era riuscito a sopravvivere (similmente alla Spagna di Franco) alla sconfitta dei fascismi europei, ritagliandosi un ruolo nel nuovo mondo bipolare in chiave anticomunista e diventando addirittura membro fondatore della NATO nel 1949[2].
Tuttavia, lo sviluppo economico e sociale vissuto anche dal Portogallo nel secondo dopoguerra, con la crescita della classe media e soprattutto di un’inquieta classe operaia, inizierà ben presto a far apparire il regime sempre più anacronistico e scollegato dalla realtà. In questo contesto riprendono le attività delle opposizioni, in particolare del Partito comunista portoghese, l’unica forza politica antifascista ad aver mantenuto negli anni una presenza effettiva all’interno del paese e nel mondo del lavoro. Ma sarà la questione coloniale a diventare una vera e propria spina nel fianco per il Portogallo salazarista che, scontrandosi con il clima internazionale di decolonizzazione, rifiuterà di concedere qualunque tipo di autonomia ai territori d’oltremare. La difesa dell’impero come parte integrante dell’identità portoghese e l’idea del Portogallo come nazione multicontinentale e multirazziale[3] era, del resto, uno dei pilastri su cui si fondava l’Estado novo.
A partire dal 1961, l’esercito lusitano sarà impegnato dalle guerriglie indipendentiste in Angola, Guinea e Mozambico. Un’intera generazione di giovani portoghesi, nel corso degli anni ’60, finirà inghiottita dalle giungle africane. La guerra coloniale, percepita come ingiusta dalla gioventù che la combatteva (e che era entrata in contatto con gli ideali che animavano i patrioti africani), si salderà con la rinascita dell’opposizione studentesca e operaia, rinvigorita anche in Portogallo dallo sviluppo della new left sull’onda lunga del Sessantotto[4]. In particolare all’interno delle Forze armate, gli ufficiali subalterni iniziano a organizzarsi: il Movimento dei capitani, inizialmente pensato come associazione meramente corporativa[5], si trasformerà nel 1973 in Movimento delle Forze Armate (MFA), con un’identità dichiaratamente democratica e socialista. Il MFA, una volta eletti i propri dirigenti, tra i quali Otelo de Carvalho e Vasco Lourenço, inizia a prendere contatto con i generali favorevoli a una risoluzione politica del conflitto, con l’idea che solo un’azione delle forze armate potesse mettere fine alla dittatura e a una guerra coloniale della quale non si intravedeva la fine.
Dopo un primo fallito colpo di mano, il 16 marzo, nella notte tra il 24 e il 25 aprile del 1974 i militari riusciranno a prendere il controllo della capitale e delle principali strutture di comando del paese.
L’azione era scattata al passaggio in radio della canzone Grândola vila morena, del cantautore comunista José “Zeca” Afonso, scelta come segnale di avvio in quanto precedentemente vietata dal regime. In poche ore, pressoché senza sparare un colpo, il regime crolla come un castello di carte. Il primo ministro Marcelo Caetano, che nel 1968 aveva sostituito Salazar, è arrestato dai militari, mentre viene occupata la sede della polizia politica (la famigerata PIDE, Policia Internacional e de Defensa do Estado) in mezzo a una folla festante, nonostante l’invito dell’MFA a rimanere in casa. Una fioraia, Celeste Caeiro[6], inizia a distribuire ai militari dei garofani rossi, che molti infilano nella canna dei fucili e dei blindati, donando alla rivoluzione il nome con il quale è passata alla storia.
Caduta la dittatura, il potere viene assunto da una Giunta di salvezza nazionale, composta da ufficiali del MFA e guidata dal generale Antonio de Spìnola, già nota figura di riformatore[7]; il Movimento delle Forze armate rende immediatamente pubblico il suo programma, incentrato sulla democratizzazione dello Stato e sulla risoluzione della questione coloniale.
La grande manifestazione convocata il Primo maggio, prima giornata dei lavoratori a essere celebrata dal 1926, vede la partecipazione di oltre un milione di cittadini portoghesi nelle strade di Lisbona[8], con in testa i leader dei principali partiti antifascisti, in alcuni casi (come Alvaro Cunhal, segretario del Partito comunista) appena rientrati dall’esilio. Con la legalizzazione dei partiti politici e dei sindacati autonomi riprendono, dopo quasi mezzo secolo, la vita politica e la conflittualità sociale, ma si acuiscono anche le divergenze tra Spìnola e la base popolare, in gran parte rappresentata dai partiti della sinistra, desiderosa di una cesura radicale con il passato. In particolare sulla questione coloniale si viene a creare una spaccatura tra il generale, propugnatore di una soluzione “federale”, e il MFA, sostenitore dell’indipendenza immediata delle colonie. Fallita la politica coloniale di Spìnola contro l’intransigenza della sinistra e soprattutto dei movimenti indipendentisti africani, quest’ultimo tenterà di forzare la situazione convocando una manifestazione di suoi sostenitori, scontrandosi con la reazione della sinistra e le barricate erette a Lisbona. Il generale tenterà, fallendo, un golpe conservatore nel marzo 1975, dopodiché sarà costretto a lasciare il Portogallo[9].
Con il fallimento del colpo di mano di Spìnola inizia la fase più “calda” e radicale della rivoluzione portoghese, quella che inizierà a essere chiamata Processo rivoluzionario in corso (PREC). Scioperi e agitazioni nelle fabbriche, nelle campagne e nelle università si susseguono senza sosta, mentre a livello politico cresce a dismisura l’influenza dell’ala sinistra del MFA e del Partito comunista, che attraverso Vasco Gonçalves (generale vicino ai comunisti) arriva a controllare di fatto il Governo provvisorio. I militari, in particolare il COPCON[10] istituito nella regione di Lisbona da Otelo de Carvalho[11], diventano dei veri e propri guardiani della rivoluzione, partecipando attivamente in molti casi alle occupazioni e alle mobilitazioni operaie. Si comincia addirittura, da più parti, ad ipotizzare la fine del sistema capitalista. Sono in molti a sognare una “nuova Cuba” alla periferia dell’Europa. Nell’estate del 1975, quando il processo rivoluzionario raggiunge il suo apice, si verifica uno strano fenomeno: migliaia di giovani e militanti di sinistra, provenienti da tutta Europa, si recano in Portogallo per osservare da vicino e sostenere la rivoluzione, affascinati dal carisma di Carvalho, dalle immagini dei soldati rivoluzionari e dall’entusiasmo della classe lavoratrice nel costruire quello che veniva chiamato il Poder popular. In Italia sarà Lotta continua a seguire con maggior attenzione le vicende portoghesi, inviando corrispondenti e semplici militanti. Nelle tesi di LC il Portogallo, insieme alla decolonizzazione dei suoi ex possedimenti, poteva essere la scintilla che avrebbe dato il via alla rivoluzione in Occidente. Ricorda Sandro Moiso, militante di Lotta continua là presente all’epoca dei fatti:
“Destinazione Lisbona, dove la rivoluzione c’era davvero. Dove giovani militari dalle barbe incolte e dai capelli lunghi avevano smesso di far la guerra ai popoli dell’Angola e del Mozambico per girare i fucili verso il proprio governo. (…) Eravamo andati in Portogallo per veder sorgere un mondo nuovo. Era da diversi anni che ne stavamo spiando la nascita e forse quella sarebbe stata la volta buona. Ci sentivamo militanti della Rivoluzione. In fin dei conti non importava quale fosse[12].”
Mentre la deriva “bolscevica” della Revoluçao dos cravos aveva acceso le speranze dei rivoluzionari di tutta Europa, gli Stati Uniti e l’Occidente iniziano a guardare con preoccupazione agli sviluppi portoghesi: non era pensabile che un paese membro della NATO scivolasse verso il comunismo. Gli USA e le cancellerie europee (peraltro in maggioranza rette da esponenti socialdemocratici) individuarono, anziché nella destra portoghese in odore di neofascismo, un valido referente nel Partito socialista e nel suo leader Mario Soares, da tempo in disaccordo con le componenti rivoluzionarie più radicali e fautore di un’evoluzione in senso socialdemocratico ed europeo del PREC. A spendersi di più per un’evoluzione in tal senso saranno l’Internazionale socialista e il suo segretario, il tedesco Willy Brandt[13], ma anche all’interno dei partiti comunisti europei si erano originate le prime crepe nei riguardi del Portogallo: a molti il PCP appariva troppo settario e l’instaurazione di un regime di tipo “sovietico” in Europa sembrava un grosso azzardo, a partire dal Partito comunista italiano, impegnato in quel momento nella difficile definizione (insieme agli omologhi spagnoli e ai francesi) di “eurocomunismo[14]”.
Già uscito vincitore dalle elezioni per la Costituente, nell’aprile 1975[15], il Partito socialista beneficerà largamente del sostegno politico (ed economico) dell’Occidente e degli Stati Uniti. Del resto, complici la stanchezza generale e le pressioni internazionali, verso la fine del 1975 il Processo rivoluzionario si avvierà verso la conclusione.
Nonostante le forti tensioni durante la fase più calda, la Revoluçao dos cravos continua a essere, ancora oggi, forse il momento fondamentale della storia portoghese del XX secolo. Per molti si è trattato dell’ultima rivoluzione marxista in Europa e della speranza di poter costruire un mondo diverso: i garofani rossi e la canzone di José Afonso sono ancora oggi patrimonio comune della sinistra lusitana e mondiale. Per altri dell’ingresso del Portogallo nella modernità e nella comunità politica (ed economica) europea. Quello che è certo è che il 25 aprile, a cui è stato dedicato il grande ponte che collega le due sponde del Tago a Lisbona, simboleggia la definitiva riconquista della libertà da parte di un popolo e soprattutto dei suoi figli sotto le armi, che al momento opportuno hanno avuto la forza e il coraggio di disobbedire.
Note
[3]F. Tavares Pimenta, op. cit., pag. 126.
[4]Cfr. Giulia Strippoli, Tra guerra e rivoluzione. La sinistra portoghese negli anni ’70, in Officina della Storia, 16 settembre 2019, https://www.officinadellastoria.eu/it/2019/09/16/tra-guerra-e-rivoluzione-la-sinistra-portoghese-negli-anni-settanta/ .
[6]La ragazza dei fiori rossi liberati, in Il Manifesto, 25 aprile 2019.
[8]Cfr. 700.000 garofani rossi a Lisbona, in Lotta continua, 3 maggio 1974.
[9]F. Tavares Pimenta, op. cit., pag. 213.
[10]Comando Operacional do Continente, corpo speciale deputato alla difesa del processo democratico.
[15]Cfr. F. Frangioni, op. cit
[16] Il PS aveva raccolto il 37%, contro i l2% dei comunisti.
Bibliografia
Corossacz V. R., Una decolonizzazione mai terminata. Il modello portoghese di colonizzazione in Brasile e la costruzione dell’Altro/a africano/a nell’immaginario razzista, in Altre modernità, Università degli studi di Milano, novembre 2016.
Frangioni F., Fra europeismo e terzomondismo: il Portogallo e la rivoluzione dei garofani nella sinistra italiana, in “Memoria e ricerca”, n. 44, settembre-dicembre 2013, pag. 153.
Moiso S., Riti di passaggio, http://www.carmillaonline.com/?s=riti+di+passaggio (giugno 2014).
Spìnola A., Il Portogallo e il suo futuro, Firenze, Vallecchi, 1974.
Strippoli G., Lotta continua e il processo rivoluzionario portoghese, in “Estudios italianos em Portugal”, nuova serie n°9, 2014.
Strippoli G., Tra guerra e rivoluzione. La sinistra portoghese negli anni ’70, in Officina della Storia, 16 settembre 2019, https://www.officinadellastoria.eu/it/2019/09/16/tra-guerra-e-rivoluzione-la-sinistra-portoghese-negli-anni-settanta/ .
Tavares Pimenta F., Storia politica del Portogallo contemporaneo (1800-2000), Milano, Le Monnier, 2011.
Fonti
Il manifesto (archivio online)
Lotta Continua (archivio online)