di Federico Dionisi
Abstract
La sera del 17 ottobre 1961, durante le ultime fasi della guerra d’Algeria, la polizia parigina attaccò una manifestazione pacifica di lavoratori nordafricani convocata dalla federazione francese del Front de Libération Nationale. Caduta immediatamente nell’oblio, la vicenda verrà in seguito fatta riemergere grazie al lavoro di storici e attivisti, fino al recente riconoscimento da parte del presidente Emmanuel Macron della sua natura di “crimine inaccettabile”.
Le soir du 17 octobre 1961, pendant les dernières phases de la guerre d’Algérie, la police parisienne attaque une manifestation pacifique de travailleurs nord-africains convoquée par la fédération française du Front de libération nationale. Tombée immédiatement dans l’oubli, l’affaire sera par la suite relancée grâce au travail d’historiens et de militants, jusqu’à la récente reconnaissance par le président Emmanuel Macron de sa nature de “crime inacceptable”.
On the evening of 17 October 1961, during the final stages of the Algerian War, the Parisian police attacked a peaceful demonstration of North African workers convened by the French federation of the Front de Libération Nationale. Immediately forgotten, the story will later be revived thanks to the work of historians and activists, until the recent recognition by President Emmanuel Macron of his nature of “unacceptable crime”.
Autunno 1961: massacro di Stato a Parigi
Il 17 ottobre 2021 Emmanuel Macron è stato il primo Presidente della Repubblica francese a prendere parte ad una commemorazione ufficiale[1], sul lungo Senna nei pressi di Nanterre, per la strage di cittadini nordafricani perpetrata dalla polizia parigina nell’autunno del 1961, durante l’ultima e più calda fase della guerra d’Algeria. Il capo dello Stato ha parlato chiaramente di “crimini inaccettabili per la Repubblica”, commessi sotto l’autorità della Prefettura di polizia. Se da una parte il gesto si inserisce nella recente e progressiva (oltre che non facile) ammissione, da parte della Francia, delle molte ombre del suo passato coloniale, dall’altra le istituzioni francesi non hanno ancora intenzione di ammettere quello che è stato da tempo appurato da storici e studiosi: quella del 17 ottobre, lontana dall’essere un’eccezione o una deviazione dalla legalità repubblicana, è stata una vera e propria strage di Stato, per il contesto, le modalità con cui si è svolta e per l’oblio che in seguito è stato volutamente fatto calare sulla vicenda.
La guerra d’Algeria, per molto tempo nemmeno chiamata con il suo nome ma con locuzioni come “mantenimento dell’ordine” o “operazioni di polizia”, inizia nella notte del primo novembre del 1954, quando un’organizzazione ancora sconosciuta, il Front de Libération Nationale (FLN), mette in atto una serie di attacchi contro caserme e stazioni di polizia francesi[2]. Dietro l’insurrezione ci sono militanti quasi tutti giovani, cresciuti nei ranghi del nazionalismo algerino e della sinistra marxista francese, delusi dall’immobilismo delle vecchie organizzazioni e decisi a sbloccare con le armi lo status quo coloniale. Il nazionalismo era già da tempo in marcia sotto forma di partiti e sindacati, attivi sia in Francia sia in Algeria; le repressioni e i morti di Sétif[3] e di Parigi, dove il 14 luglio del 1953 (significativamente proprio nel giorno del tradizionale corteo per la presa della Bastiglia) la polizia spara sullo spezzone di lavoratori nordafricani[4], insieme all’esempio vittorioso dell’Indocina (liberatasi con le armi dal dominio francese) convinceranno una parte dei militanti che solo con un’insurrezione violenta sarebbe stato possibile accedere all’autodeterminazione .
La reazione della Francia è immediata: François Mitterrand, allora ministro degli Esteri in un governo progressista come quello di Pierre Mendés-France[5], dichiara senza mezzi termini che l’Algérie, c’est la France[6]; i primi reparti di paracadutisti e della Legione straniera, oltre che i riservisti richiamati ad hoc, raggiungono le montagne dell’Aurés e della Cabilia per impegnarsi contro i guerriglieri (non senza proteste nelle stazioni e nelle caserme). Per i governi francesi di qualsiasi colore è impossibile pensare di poter abbandonare l’Algeria, sia per l’attaccamento al “gioiello dell’Impero” sia per il fatto, molto più concreto, che oltre il Mediterraneo vivono e lavorano da generazione circa un milione di coloni europei (di origini per lo più francesi, spagnole ed italiane), in gran parte agricoltori e lavoratori manuali, cittadini della Repubblica a tutti gli effetti e per nulla intenzionati a rinunciare ai propri privilegi di fronte alla massa dei colonizzati. La determinazione degli europei d’Algeria e soprattutto dei militari francesi, decisi ad evitare una nuova Dien Bien Phu[7], saranno fattori decisivi nel piegare la politica francese verso la guerra totale.
Nel gennaio del 1956 una coalizione di centrosinistra denominata Front républicain, guidata dai socialisti, vince le elezioni con la promessa della pace e delle riforme in favore della popolazione musulmana. Il neo eletto primo ministro Guy Mollet, leader del Partito socialista (SFIO[8]), si reca ad Algeri per rendersi conto in prima persona della situazione; appena arrivato in città, Mollet viene fatto oggetto di insulti, minacce e un fitto lancio di ortaggi da parte di una folla di coloni europei. Il programma socialista, fondato sul duo cessate il fuoco-riforme, capitola di fronte alla rabbia pied noir in quella che passerà alla storia come la “giornata dei pomodori”. Tornato in patria, Guy Mollet, che poco tempo prima, in fase di campagna elettorale, in un articolo aveva definito il conflitto in atto come “imbecille e senza via d’uscita”[9], decide che prima di qualsiasi negoziato è necessario battere i nazionalisti sul campo di battaglia. Il 12 marzo all’Assemblea nazionale passa una legge detta dei “poteri speciali”, che trasformano di fatto l’intero territorio algerino in una zona di operazioni militari[10]. Il Partito comunista francese, che non intende mettere in difficoltà un esecutivo di sinistra[11], voterà a favore della legge.
Con il beneplacito dell’unica organizzazione che fino a quel momento si era (almeno formalmente) opposta all’escalation militare in Algeria, ha inizio la fase più “sporca” del conflitto. Mentre i reparti dell’esercitorastrellano le campagne impegnati dai partigiani dell’Armée de Libération Nationale (ALN)[12], nel gennaio 1957 il prefetto di Algeri affida ai paracadutisti del generale Jacques Massu lo smantellamento della rete cittadina del FLN. La “battaglia di Algeri” si concluderà con la vittoria francese, ma il ricorso sistematico alla tortura provoca una crisi morale senza precedenti in Francia, soprattutto dopo che numerosi europei (in gran parte militanti comunisti, come il giornalista Henri Alleg[13] o il giovane matematico Maurice Audin[14], torturato e scomparso nel nulla) finiscono nelle mani dei paras. La patria dei diritti dell’uomo si scopre improvvisamente in grado di azioni che a molti ricordano l’occupazione nazista. A questo proposito, Paul Teitgen, dirigente di polizia di stanza ad Algeri, paragonerà apertamente le sevizie inflitte ai prigionieri arabi a quelle che lui stesso aveva subito dalla Gestapo[15]. La Quarta repubblica, stretta tra la question della tortura, la paralisi istituzionale e l’intransigenza degli europei d’Algeria, si schianterà nel 1958, aprendo la strada al ritorno di Charles de Gaulle e all’instaurazione del regime politico che di fatto perdura ancora oggi.
Nell’ultimo biennio del conflitto, tra il 1961 e il 1962, il terrore e le bombe sbarcano in territorio metropolitano. Il voltafaccia di De Gaulle nei confronti dell’Algérie française fa infuriare gli estremisti pied noir, che danno vita ad un’organizzazione terroristica chiamata Organisation armée secrète[16]. Allo stesso tempo il FLN inizia a colpire le forze di sicurezza e la polizia in Francia e mobilita il vasto proletariato immigrato, allo scopo di fare pressione e di accelerare un’indipendenza oramai di fatto acquisita. Attentati pied noir e terrorismo algerino, che si sommano ai tentativi di colpo di stato messi in atto dai generali ad Algeri e alle prime (tardive) mobilitazioni di piazza messe in atto dagli studenti e dai gruppi afferenti alla Nouvelle gauche[17], vanno a creare una situazione di forte tensione, quasi da guerra civile. A farne le spese sarà soprattutto la popolazione nordafricana residente nelle banlieues e nei quartieri periferici parigini.
E’ interessante sottolineare come, nel 1961, a capo della polizia della capitale francese vi sia Maurice Papon, collaboratore del prefetto di Bordeaux durante il periodo di Vichy e responsabile della deportazione di 1600 ebrei nei campi di sterminio tedeschi[18]. Papon era rimasto in sella grazie alla superficialità con cui nel dopoguerra era stata condotta l’epurazione negli apparati dello Stato e alla tardiva (nonché piuttosto dubbia) conversione alla causa della Resistenza, dimostrandosi un funzionario zelante ed efficace nella repressione di scioperi e agitazioni. Secondo lo storico Alain Dewerpe, inoltre, è l’ambiente stesso che si respira all’interno della polizia francese ad accrescere la violenza espressa nelle strade contro manifestazioni e cortei[19], e di conseguenza la tensione generale: un clima brutale e di profonda ostilità verso il nemico interno, sia esso l’operaio comunista, lo studente o il lavoratore immigrato, già presente nel corso degli anni ’50 e galvanizzato dagli attentati algerini in territorio metropolitano.
Il 5 ottobre del 1961, a seguito di una serie di attentati contro caserme e stazioni di polizia, ai residenti di origine nordafricana nella capitale è imposto, in maniera non ufficiale, il coprifuoco: dalle 20 alle 5 del mattino è loro vietato di circolare nelle strade. Il provvedimento si accompagna alle sempre più numerose vessazioni da parte delle forze dell’ordine e degli harkis, ausiliari reclutati proprio tra gli immigrati algerini. La federazione francese del FLN, per opporsi al provvedimento, convoca per il 17 ottobre una manifestazione in piena Parigi, con l’ordine di evitare provocazioni di ogni tipo[20]. Migliaia di algerini affluiscono in città dalle banlieues e, fatto inedito, occupano pacificamente le strade del centro. Si tratta per lo più di manovali e operai, tutti disarmati e con mogli, compagne e bambini al seguito. Contro questa folla si scatena in breve la violenza cieca degli agenti antisommossa, esasperati e in cerca di vendetta contro les ratons, come venivano spregiativamente chiamati gli algerini. I manifestanti vengono pestati, fatti bersaglio di colpi di arma da fuoco, arrestati a migliaia. Testimonianze provenienti dagli stessi agenti di polizia, raccolte dal giornalista Claude Bourdet[21], parlano di torture, di esecuzioni sommarie nei cortili delle caserme e di persone gettate nella Senna, dalla quale nei mesi successivi verranno ripescati diversi cadaveri. Il bilancio, ricostruito a fatica nel corso degli anni grazie al lavoro degli storici[22], parla di 11 mila arresti e diverse centinaia di morti.
Nei giorni successivi, nonostante gli sforzi di una parte della stampa di opposizione[23], sulla vicenda cala immediatamente il silenzio, sia per la volontà delle istituzioni di insabbiare il tutto (la versione ufficiale conterà solo due morti[24]), sia a causa di una sinistra che non riesce a mettere in campo nessuna risposta concreta a esclusione dei soliti comunicati e articoli di giornale. Solo i gruppi della Nouvelle gauche, gli studentie il Partito socialista unificato (nato nel 1960 da una scissione a sinistra della SFIO) scenderanno in piazza il primo novembre, in una Parigi blindata, contro la violenza poliziesca e il razzismo istituzionale[25]. Lo stesso Bourdet, consigliere comunale per il PSU, pronuncerà una dura accusa in aula contro Maurice Papon, senza provocare la minima reazione [26]. Il prefetto di Parigi, del resto, godeva del pieno appoggio e della copertura del governo gollista.
Un’altra strage, questa volta l’8 febbraio 1962, presso la fermata della metropolitana Charonne in occasione di una manifestazione unitaria anti-OAS, nella quale perdono la vita nove persone (tutti militanti comunisti), contribuisce ancora di più a spingere nell’oblio la giornata del 17 ottobre. Stridono in particolare l’enorme partecipazione popolare ai funerali delle vittime[27] e la copertura mediatica degli avvenimenti con l’assenza pressoché totale di reazione per il massacro di tre mesi prima.
Come sottolineato da Andrea Brazzoduro, i metodi impiegati contro i manifestanti algerini (e in misura minore contro la folla della Charonne) sono ascrivibili non tanto (o per lo meno non solo) alla violenza, ancora oggi endemica della polizia francese[28], ma al dispiegamento anche in territorio metropolitano delle tecniche di “mantenimento dell’ordine” messe in campo in Algeria[29]: a partire dal 1958, anche in Francia si tortura, si arresta e si interna in maniera arbitraria[30], anche in Francia gli algerini sono vittime del sistema di classificazione che li vede come “indigeni” benché formalmente cittadini francesi a tutti gli effetti. La stessa modalità della repressione del 17 ottobre ricorda scene già viste a Sétif, Orano o Algeri. I francesi, con i massacri del 17 ottobre e del 9 febbraio, scoprono improvvisamente una violenza coloniale non edulcorata dai comunicati ufficiali.
Nel 1962, con la firma degli accordi di Evian, gli anni della guerra d’Algeria cadranno nell’oblio per decenni. I francesi e la politica francese, sia a destra che a sinistra, preferiscono dimenticare la profonda crisi dei propri valori vissuta tra la Toussaint rouge e il 1962. Del massacro del 17 ottobre si tornerà a parlare all’inizio degli anni ’80, grazie all’azione di associazioni e collettivi di base animati dai figli della seconda generazione dell’immigrazione maghrebina. Soprattutto durante la grande marcia antirazzista del 1983, che attraversa strade e città della Francia[31], si inizia a domandare verità e giustizia per i fatti del ’61, messi in relazione con il persistere della brutalità poliziesca contro gli abitanti delle banlieues. Nel 1991, lo storico Jean-Luc Einaudi pubblica il libro La bataille de Paris[32], nel quale, grazie a numerose testimonianze raccolte in Francia e Algeria, viene smontata la tesi ufficiale dei “soli” due morti.
Alla fine degli anni ’90 si apre un’altra occasione per far luce sulla strage, quando nel 1997 si apre il processo contro Maurice Papon per le sue responsabilità durante il regime collaborazionista: Einaudi è chiamato dalle associazioni ebraiche costituitesi parte civile a far luce sull’operato di Papon in veste di prefetto di Parigi e, di conseguenza, sulle sue responsabilità nei fatti del 17 ottobre. Il processo segna un passaggio decisivo nel dibattito pubblico francese: alla sbarra non finisce solamente la Francia di Vichy, ma anche la Francia coloniale e le sue eredità postcoloniali. Così come nel 1995 il presidente Jacques Chirac aveva dichiarato che bisognava assumersi la responsabilità storica del collaborazionismo e delle deportazioni[33], allo stesso modo da più parti si comincerà a chiedere lo stesso anche per il massacro del 17 ottobre 1961 e più in generale per la guerra d’Algeria e la colonizzazione.
Negli ultimi anni la richiesta di un riconoscimento ufficiale da parte dello Stato per i crimini commessi contro gli algerini si è unita alla lotta contro il razzismo strutturale che informa ancora il mantenimento dell’ordine nei quartieri popolari, dove la stragrande maggioranza delle vittime di controlli e fermi di polizia sono giovani neri e arabi. La scia di morti non bianchi provenienti dalle classi popolari non si è mai arrestata negli anni, da Zyed Benna e Bouna Traoré, 17 e 15 anni, morti nel 2005, fino ad Adama Traoré, 24 anni, morto nel 2016. Ogni volta ritorna con sempre più forza il riferimento al massacro del 1961 e ad una violenza coloniale mai cessata, nonostante le aperture e le assunzioni di responsabilità delle istituzioni.
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NOTE:
[1] Cfr. https://www.elysee.fr/emmanuel-macron/2021/10/16/ceremonie-de-commemoration-des-60-ans-du-17-octobre-1961 .
[2] Per uno sguardo d’insieme sulla decolonizzazione algerina, Cfr. Benjamin Stora, La guerra d’Algeria, Bologna, il Mulino, 2009.
[3] L’8 maggio 1945, lo stesso giorno della vittoria alleata sulla Germania nazista, la gendarmeria francese spara su un corteo nazionalista nella cittadina di Sétif. L’episodio darà il via a violenti scontri in diverse località algerina, che provocheranno più di un migliaio di morti algerini.
[4] Cfr. Sept morts Place de la Nation, in Le Monde, 16 luglio 1953; Cfr. Danielle Tartakowsky, Les manifestations de rue en France, Paris, Editions de la Sorbonne, 1997, pag. 631-632. https://books.openedition.org/psorbonne/62452?lang=it#tocfrom2n2
[5] Che fra l’altro nel corso del 1954 aveva concesso l’autonomia alla Tunisia.
[6] Cfr. Dichiarazione di François Mitterrand all’indomani dell’insurrezione: https://fresques.ina.fr/mitterrand/fiche-media/Mitter00086/allocution-de-francois-mitterrand-sur-la-toussaint-sanglante.html .
[7] Combattuta nella primavera del 1954, la battaglia di Dien Bien Phu segna la vittoria del Viet Minh e la fine del dominio francese in Indocina, con un effetto devastante sul morale dell’esercito.
[8] Section Française de l’Internationale Ouvrière
[9] G. Mollet, Le sang ne doit plus couler en Afrique du Nord, in L’Express, 19 dicembre 1955.
[10] Pierre Vidal-Naquet, Lo stato di tortura: la guerra d’Algeria e la crisi della democrazia francese, Milano, Res Gestae, 2012, pag 70.
[11] I comunisti, usciti da poco da un isolamento politico che perdurava dal 1947 grazie al voto di fiducia al governo Mollet, consideravano prioritario non compromettere il dialogo con la SFIO. Cfr. riunione dell’Ufficio politico del PCF, 12 marzo 1956, https://pandor.u-bourgogne.fr/archives-en-ligne/ead.html?id=FRMSH021_00060&c=FRMSH021_00060_BP_1956_03_12&qid= .
[12] Braccio militare del FLN.
[13] Autore del libro-testimonianza La Question, uno dei principali testi di denuncia dei metodi impiegati dalla Francia in territorio algerino. In Italia sarà edito da Einaudi nel 1959 con il titolo La tortura.
[14] Cfr. https://maitron.fr/spip.php?article153671, notice AUDIN Maurice [Dictionnaire Algérie] par René Gallissot, version mise en ligne le 19 février 2014, dernière modification le 21 juin 2020.
[15] Lettera di dimissioni di P. Teitgen, https://www.histoire-en-questions.fr/guerre%20algerie/terreur-tortures-lettre.html
[16] Fondata all’inizio del 1961 a Madrid, sotto l’ombrello del regime franchista. L’organizzazione, contraria ad ogni ipotesi di abbandono dell’Algeria francese, nel biennio 1961-1962 si renderà responsabile di una lunga serie di attentati e violenze tra l’Algeria e la Francia metropolitana. Cfr. Paul Henissart, OAS. L’ultimo anno dell’Algeria francese, Milano, Garzanti, 1970.
[17] Con Nouvelle gauche (nuova sinistra) si intende un’area politica situata fuori dai grandi partiti istituzionali, composta da piccole organizzazioni come l’Union de la Gauche socialiste o il sindacato studentesco UNEF.
[18] Cfr. Robert Paxton, Vichy 1940-1944. Il regime del disonore, Milano, Il Saggiatore, 1999, pag. 285-302 .
[19] Cfr. E. Ollion, Le massacre contre le putsch. Entretien avec Alain Dewerpe, in Vacarme, 2 giugno 2007. https://vacarme.org/article1344.html .
[20] Cfr. Neil McMaster, Jim House, La Fédération de France du FLN et l’organisation du 17 octobre 1961, in Vingtième Siècle, Revue d’Histoire, n° 83, 2004.
[21] Cfr. C. Bourdet, « Monsieur le préfet de police » (réédition), question de Claude Bourdet à Maurice Papon – Conseil de Paris, 27 octobre 1961, in Vacarme, 29 settembre 2001. https://vacarme.org/article223.html .
[22] In particolare grazie ai lavori di Einaudi, Péju, Stora, House e McMaster.
[23] Giornali come Les Temps Modernes, France Observateur, Tribune Socialiste, o anche l’organo comunista l’Humanité. Cfr. Mogniss H. Abdallah, Le 17 octobre 1961 et les médias. De la couverture de l’histoire immédiate au travail de mémoire, in Hommes et migrations, n° 1228, novembre-dicembre 2000.
[24] Paulette Péju, Ratonnades à Paris, précédé de: Les harkis à Paris, Paris, La Découverte, 2000, pag. 143.
[25] B. Ravenel, Quand la Gauche se reinventait. Le PSU, histoire d’un parti visionnaire (1960-1989), Paris, La Découverte, 2016.
[26] Cfr. C. Bourdet, art. cit.
[27] Cfr. https://www.cinearchives.org/Catalogue-d-exploitation-494-1616-0-0.html
[28] Sul clima che si respira ancora oggi all’interno delle forze dell’ordine francesi, esiste un’ottima inchiesta ad opera del giornalista Valentin Gendrot. Cfr. V. Gendrot, Sbirro. Un giornalista infiltrato racconta le forze dell’ordine francesi, Roma, Nutrimenti, 2021.
[29] Cfr. A. Brazzoduro, 17 ottobre 1961: a sessant’anni dalla repressione degli algerini, fare i conti con il razzismo strutturale, https://fondazionefeltrinelli.it/17-ottobre-1961-a-sessantanni-dalla-repressione/ .
[30] Nel 1959 esce il libro La gangrène, testimonianza di alcuni studenti algerini arrestati e torturati a Parigi. Cfr. AA.VV., La cancrena. Testimonianze sulla tortura in Francia, Torino, Einaudi, 1959.
[31] La marcia lunga trenta anni, in Il Manifesto, 29 novembre 2013.
[32] Jean-Luc Einaudi, La bataille de Paris, Paris, Points histoire, 2017.
[33] Cfr. https://enseignants.lumni.fr/fiche-media/00000000535/discours-de-jacques-chirac-sur-la-responsabilite-de-vichy-dans-la-deportation-1995.html .